mercoledì 27 febbraio 2008

Todos Tus Muertos

Ormai una decina d'anni fa il compare Christian passò un anno e passa in Erasmus a Madrid. Portò indietro cassette registrate che mi aprirono mondi nuovi. C'era la patchanka della Mano Negra, sicuramente uno dei gruppi europei più importanti degli ultimi vent'anni; c'erano gli NWA, con Fuck Tha Police, Gangsta Gangsta, Straight Outta Compton e altri capolavori, compresa una traccia in cui si insegna alle groupies, a a chi voglia imparare, come fare un pompino coi fiocchi (chiamata, non a caso, Just Don't Bite It); gli Hechos Contra el Decoro, gruppo madrileño (il cui cantante, Nacho, mi ha ospitato per un mese nella capitàl) di ragamuffin hiphop; ma quelli che mi piacevano di più erano i Todos Tus Muertos (che tradotto suona come li mortacci tua), un gruppo argentino che faceva il culo a tutti i gruppetti skacore della Bay Area. Se ne uscivano con cose reggae e hiphop ma quando c'era da menar mazzate spaccavano ed erano smarzi come solo i gruppi sudamericani sanno fare. Basta guardare la copertina per capire tutto: un teschio fatto di fiori. Poi c'era questa canzone popolare resa prima reggae, e poi sparata a palla. La canzone è divisa in tre: una prima parte che fa molto canzone popolare, una seconda molto patchanka, e la terza sparata a manetta (partendo dal minuto 2.20).
Noi, che non eravamo per niente patchanka, ma ci piaceva tirare per il collo le canzoni popolari e farle tupatupa, avevamo eliminato la parte centrale.
Oggi li ho ribeccati per caso, suonano ancora, dal 1985 e sta uscendo il loro primo Greatest Hits. Altro che Ramazzotti, che ne fa uno ogni tre dischi. Questo è il video dell'originale e la seguente è la nostra versione sedicenne presa in sala prove.
Devo ammettere che il nome della canzone Adelita (Tu Alma Mia), l'ho scoperto oggi. Non ci voleva un genio.

martedì 26 febbraio 2008

La brezza del cinema @ Non è un paese per vecchi

Al cinema è tutto più grande. Non lo hanno inventato gli americani perchè al tempo erano ancora delle mezze seghe in via d'espansione ma poi c'hanno preso gusto. Al cinema i capolavori torcono il fiato,i bei film diventano capolavori e quelli meno belli migliorano. Anche le pubblicità migliorano e sono più convincenti. Tutte, a parte quelle regionali. Non tanto per l'accento trentino malcelato o le ambientazioni lowfi: pare che i pubblicitari trentini sembrano dimentichi di vent'anni di evoluzione dell'arte dello spot, come se noi fossimo ancora tutti qui a piantar patate e governar le vacche. La gente non vuole più essere informata, o riconoscersi nella scenetta: ora devi stupirla, e trasportarla in mo(n)di nuovi e barluccicosi. Quelle regionali invece sembrano fatte sullo stampo degli spot MulinoBianco degli anni '80: la scenetta con la gente che sorride. Ma chi ci crede più? Unico spot che funziona, quello di Marcello Carli, candidato per l'UDC alla presidenza del Trentino. Sarà stata la potenza del grande schermo, ma per un attimo ho pensato di votarlo. E non solo io.

Poi, per fortuna, è cominciato Non è un paese per vecchi.
Il film è un capolavoro. Non a livello del Grande Lebowski, tutt'altro tipo di storia, ma gran bel film. A parte il finale. Quando hanno riacceso le luci nessuno sapeva cosa dire, perché nessuno ha capito il senso degli ultimi cinque minuti. Solo uno ha detto Fantastico. Era per fare il figo con la tipina che si era trascinato per fare mostra del suo sapere. Perché sono sicuro che neanche lui ha capito. Dissimulare l'umana frustrazione del non capire con un esclamazione da cinefilo con le piaghe da decubito non è cool, amico. E' miserabile. Se poi per quell'esclamazione hai guadagnato punti e sei anche andato in meta allora hai fatto bene. Hai tutta la nostra approvazione. Non è un paese per vecchi è una gran canzone, lunga e articolata, di quelle con tanti strumenti ben amalgamati, ottimi solisti con stili diversi ma non troppo loquaci, con assoli e cavalcate di note. Che cresce mantenendo vivo il filo rosso sottostante, dura un bel po' ma non annoia. Tutto questo per tutta la canzone, quando tutto si ferma ed esplode in forme che non tornano. Non è John Zorn. E' solo il più becero del free jazz, quello del mi esprimo liberamente e se non capite o apprezzate siete degli ignoranti. Beh, sarò pure ignorante ma in musica come in cinema, il rapporto è a due regista-spettatore. Se il regista vuole masturbarsi il posto giusto è la sua cameretta.
Registi che non si capisce: sarete anche dei geni, e a volte vi apprezzo anche, perchè quello che fate è fantasticoso (Lynch ci campa da una vita) ma non siete fighi. Vi piace provocare sconcerto. E ammettetelo: è pure una via d'uscita comoda. Molto più difficile è invece chiudere una storia con stile.
Registi che non si capisce: le donne che amano non capire, e ve n'è fin troppe, ve lo succhieranno con sacra devozione, ma a me non la date a bere.

lunedì 25 febbraio 2008

Piccolo Male Puro is dead

E' con profondo cordoglio che annuncio la morte del sito dei Piccolo Male Puro. Oggi scade il rinnovo del sito e, dopo anni, non ha neanche più tanto senso tenerlo in vita. Stacchiamo le spine. Ho scaricato mestamente quello che c'era da scaricare, come quando lasci una casa in cui hai vissuto per anni, e le cornici lasciano un quadrato bianco sulle pareti.
Per chi non lo sapesse, i Piccolo Male Puro sono stati il laboratorio di violenza dolce mia e di due tra i miei più cari amici, Irene e Simone.
Posso affermare senza false modestie che insieme abbiamo fatto cose egrege, e che avremmo potuto farne ancora, ma non si torna indietro.
Resta la consapevolezza di aver fatto parte di qualcosa di grande e unico e irripetibile.
Ora Irene non suona più, purtroppo, ma ricordo le sue mazzate da pianista come la più soave delle melodie. Simone invece ha ritrovato la giovinezza nei Fango, col suo stile semplice e maestoso.
Lunga vita al Piccolo Male Puro.

In assaggio la più dolce delle perle, Candy Mandible. Sapevamo anche essere più bruti, e sicuramente ne avevamo di migliori, ma per un assaggio questa basta. Buona scolto.

domenica 24 febbraio 2008

OfflagaDiscoPax + My Awesome Mixtape @ Interzona - Verona

Il sabato che non ti aspetti, a Trento. Quattro concerti quattro la stessa sera: Rosolina Mar e Nurse al Bruno, Supercanifradiciadespiaredosi al Paradiso, Dj berlinese + flauto spagnolo al Wallenda e festa mensile della Sonà, con Mamalbao et al.
Robe da angoscia della scelta, qui nelle Alpi.
La mia, di angoscia della scelta, mi ha reso esule. Così, con Fabrizia e David siamo scesi nella nerissima Verona a bordo della gloriosa Skoda, ascoltando modernità e parlando, con divieto di nòneso, dell'idea di organizzare un torneo di morra in una moschea. Tanto per metterlo nel culo alla Lega, che se lo merita. Sempre.

Premetto che sono cresciuto con i gruppi tupatupa, quelli del sudore che cola sulle prima file come una girandola da giardino, dove la condivisione degli umori non è solo metafora, dove la batteria non è solo il cuore pulsante della canzone, ma dà tono, stile ma soprattutto accenti alla canzone tutta.
Perchè gli accenti sono importanti: avete presente la gente senza accento alcuno? Io non li sopporto. Tanti si vergognano del proprio accento e tentano di sciacquarselo di dosso con la carta vetrata. C'è da capirli: certi accenti abbelliscono quanto un naso adunco. Ma gli accenti dicono da dove vieni e dove hai vissuto. Non sono cose di cui ci si libera senza scialanza. La gente senza accento parla neutro e diventa subito monotona.
La batteria è l'accento della canzone. Solo che nel frattempo il mondo di è evoluto e la batteria sembra dover fare la miserabile fine della lettera scritta a mano, sostituita da macchine più precise, meno ingombranti e che scoreggiano meno dei loro corrispondenti umani.
Ma andiamo con ordine.

My Awesome Mixtape

Ad aprire il palco ai più blasonati c'era questo nuovo gruppetto chitarra-tastiera-tromba-violino-voce. Devo dire che i ragazzotti la sanno lunga: non posso dire di aver sentito una canzone pallosa, le melodie sono azzeccatissime, non fanno cose nuove ma le rimesolano bene, cantano quasi tutti e sono coinvolgenti. Ma i ma sono ma pesanti e li vado ad elencare:
- forse sono io ad essere abituato ai gruppi indie come gente sporca e sudata, gente che non usa deodorante, ma questi sembravano saltati fuori dalle grucce, belli puliti e stirati, del tipo mamma esco a fare un concerto, mi stiri la mia maglietta degli Offlaga?
-
con tutto il rimestare motivetti le canzoni sembrano tutte uguali, per quel che fanno violino e tromba, lo poteva fare anche una tastierina. Magari con gli anni faranno il passo in più ma per il momento no.
- le canzoni sembrano tutte uguali, sempre a palla, come se togliere fosse un disonore.
E qui esce proprio il discorso di prima. Se avessero un batterista invece della macchina il tutto sarebbe più fluido, e parrebbe più vario. Così sono solo il gruppo indie che fa molto bene la sua cosa ma si ferma lì. A me sembrano una via di mezzo tra gli At the Drive-In (e non per la chioma che il cantante non ha più) e Raffaella Carrà, per quello che può voler dire.

OfflagaDiscoPax

Si presentano con tutto il nuovo album più qualche vecchia (Kappler, Enver, Tono Metallico Standard, Tatranky e una Robespierre lieve), gli Offlaga: due musicisti poco più che venticinquenni attorniati di chitarre, bassi, tastierine e bottoni di ogni sorta, più un recitatore quarantenne con la panza e dall'aspetto ordinario, che recita immobile come una busto di Lenin. Recita con l'intensità e l'invasatezza di chi si dimena, ma dentro, Max Collini, alternando un cinico sorriso da Gioconda a sguardi da cavia da laboratorio Acme.
Anche loro sono sprovvisti di batterista, ma in questo caso la mancanza si fa sentire poco, che le basi sono varie, e soprattutto valide, di quelle con gli accenti cazzuti. Cambiano spesso strumento, quelli dietro, e tramano e ordiscono melodie semplici ma valide, con i crescendi e i scendendi nei punti giusti, che senza il cantato non è poi così facile. Condiscono la voce come l'aceto balsamico, con vigore e personalità. Non sto a parlare delle canzoni, che le sinossi non rendono. Che rispondano a verità ha anche poca importanza. Che riflettano e raccontino un ambiente spesso 70's e compagna neanche tanta di più. Sono racconti brevi, cicchetti di vita sinceri e poco autocompiaciuti, e questo ha già più importanza. Ho sempre creduto a chi non ti vuole insegnare niente. Più che un concerto un'esperienza: assistere a un reading del genere nel 2008 è speciale come ricevere una lettera scritta a mano.
Loro si che ce l'hanno, gli accenti.

Eccone un assaggio


La reporter e compare Fabrye ha pure fatto le foto.

sabato 23 febbraio 2008

Scuèla de Nònes #0

Bisogna imparare l'inglese perché così ti spieghi anche tra i zulù.
Imparare il francese, non perché serva a qualcosa, ma perché sennò i fighetti dei francesi si offendono.
Lo spagnolo perché pare che tutti siano in procinto di trasferirvicisi.
Anche il crucco, ma solo per parlare al cane.
Il cinese perché un giorno, quando si accorgeranno che le leggi di controllo delle nascite hanno provocato uno squilibrio gonadi/uteri di 7/1 verranno a prendersi le nostre donne, e allora ognuno di noi avrà un po' di sangue cinese.

La verità è che nessuno sa guardare più in là del proprio naso E' proprio vero che per gli orbi è sempre notte. Perché la vera lingua del futuro non è nessuna di quelle finora citate, e neanche l'esperanto (l'equivalente
tra le lingue di un nerd con gli occhiali spessi e la riga da balilla): è la parlata della Val di Non, il nòneso. Ebbene sì: i Servizi Segreti Felix Lalù, conducendo indagini sulla creatività linguistica della bestemmia, è incorsa in documenti importanti (gli scienziati la chiamerebbero serendipità, ma il rapporto dei nostri agenti parla di culo sfacciato), documenti che farebbero impallidire il Mignolo col Prof. La notizia - segretissima e celata all'interno una forma di grana- è che i nonesi hanno un piano diabolico per conquistare l'egemonia del mondo.
Voi pensate che i nonesi mangino le loro mele, con tutta la merda con cui le condiscono? La verità è che Melinda è solo una copertura per sottomettere il resto dell'umanità. Sotto ogni mela è infatti celato un chip a emissione di feromoni che provoca sottomissione coattiva a qualsiasi ordine impartito in nòneso. La lingua come strumento di potere. Un concetto vecchio come il cucco, che la LoggiaMelinda ha fatto suo con studi condotti nelle quattro più recondite malghe di paese, trasformate in laboratori ipermoderni intitolati ai più famosi personaggi nònesi: Bernardo Clesio, vescovo pappone; Maurizio Fondriest, ciclista modesto; Franco Tretter, politico e ladro di orologi, e l'immancabile nonchè medesima Melinda, prodotto - ehm - della terra.
Allo scattare dell'ora X il mondo diventerà un unico serbatoio di servitù e l'unica possibilità di affrancarsi è di masticare il nòneso e nascondere la propria qualunque identità altra.
Ma niente paura: Felix Lalù è misericordioso e ti offre la possibilità di colmare la tua inutile ignoranza. Per farti trovare pronto alla resa dei conti.

Dopo anni di gestazione ecco a voi

Scuèla de Nònes
Nuovo Corso Multimediale di Nòneso

Purtroppo per voi ignoranti, non esiste un nòneso standard. Il nòneso, come tutte le lingue senza un esercito, cambia da paese a paese. La versione insegnata in questo corso è quella di Casez, che è uguale a quello di Banco e Sanzeno (che formano il Comune di Sanzeno), quasi uguale a quelli dell'alta Val di Non fino a Sarnonico e comprendibile in tutti gli altri paesi della valle, meno dai furesti.

Per esempio, un termine bisillabico qualunque come uovo si presenta in almeno sette varianti:
uèu: Ciadièz
uéu: Brez
uòu: Còret
òvo,
òo: Cles
óvo: Tuèn
óf: Den
óu: Rum

Ecco, noi diremo
uèu, ma ognuna delle varianti è valida, soprattutto se si accompagna la locuzione indicando l'oggetto in questione. Quando bisoognerà usare il Nònes in tempi di guerra termobiologica globale non potrete più affidarvi a tali mezzucci.
Questo tanto per far capire che non è che la gente di montagna fatica a comunicare, sono gli altri a vivere nella bambagia linguistica.
Ormai non si torna più indietro. Tenetevi pronti

venerdì 22 febbraio 2008

Filosofia della potatura

Inverno. Mentre le piante dormono, in Val di Non e nel resto del mondo è tempo di potatura. Particolare caso in cui la componente estetica (la pianta folta sembra selvaggia) e quella sanitaria (la pianta folta rischia più malattie) coincidono con quella economica (la pianta rende di più). Mi spiego meglio. Il ramo è un convogliatore, di energie, che dal centro vanno verso il cielo e viceversa. Prendiamo un ramo di tre anni ad esempio. Il ramo tende ad allungarsi, allontanandosi così da tronco (il centro) e disperdendo le energie. Spaventato dall'allontanamento del figlio nascono svariati rametti vicini tra loro, che disperdono ancora di più le energie senza fruttare niente di buono.
A questo punto l'unica soluzione è detronizzare il re bolso con i suoi tirapiedi inutili e passare lo scettro al più promettente dei suoi delfini. Scegliamo un ramo di un anno, forte abbastanza da sostenere il peso del dovere, ma finora inibito dalla presenza del gran capo. Tagliamo la testa al re e incoroniamo il ramo nuovo. Le energie così si ridistribuiscono con equilibrio, il nuovo ramo principale è più vicino al tronco e crescerà più forte e fruttoso, con gioia del ramo, tronco, della frutta a venire e del circondario tutto.
Al di là delle considerazioni di tipo politico che questa attività solleva(la nostra casta gerontocratica), dall'arte della potatura ho tratto un insegnamento di quelli che sono così ovvia che mi pare di dire una cazzata: nella vita, per crescere più forti non c'è scelta, devi fare un passo indietro, ché senza rincorsa non vai da nessuna parte.
Non che sia facile farlo, ma come diceva il padre del compare Sergi hay cosas que un hombre tiene que hacer, y las hace tranquilamente.

giovedì 21 febbraio 2008

Un piano modesto

In tutte le culture la vita è un ciclo. Si parte, si arriva e l'arrivo coincide con una ripartenza. Non è che gli uomini se lo sono inventato. Semplicemente si sono guardati intorno e tutto quello che si vedeva confermava che tutto funziona così. Le uniche culture contrarie a quasta visione circolare sono quelle lineari, tra cui le religioni monoteiste (nonchè la scienza), non a caso nate storicamente per unire e/o soggiogare popoli diversi sotto un'unica bandiera anche detta dio o conoscenza suprema.
La vita è un ciclo: noi mangiamo lo speck, poi lo caghiamo, il maiale mangia la merda e la trasforma magicamente in speck, e così via.
Così accade alla vita dell'uomo. I vecchi non diventano come bambini? Mano a mano diventano sempre più dipendenti, finchè la vita si riduce alla trinità mangiare-cagare-dormire come i neonati. A una delle mie nonne è andata così, si è ritirata giorno per giorno, sostituendo viavìa il canto al dialogo, fino a ridiventare un feto. A volte capita che i vecchi, forse perché sgravati della responsabilità, non solo ne sappiano più dei genitori, ma addirittura siano più avanti, e abbiano idee più progressiste e liberali. La mia altra nonna è così. Ha anche imparato termini giovanili come che sega o che menate ti fai? e le utilizza propriamente. Oggi pomeriggio è uscita con l'ultimo degli esempi. E' stata a Pietralcina, col gruppo anziani cattolici (aggettivo pleonastico, che qui anziano non cattolico è come dire acquasciutta), a vedere Padre Pio. Come tutte le nonne va sempre a messa, prega ma non ne fa certo una malattia. Ebbene, ne è tornata redenta. Mi racconta che stanno costruendo una basilicata immensa, che è uno spreco, con tutta la pora gente che muore di fame, e i missionari in difficoltà.. Che tutto è Padre Pio e che si rivolterebbe nella tomba. In luogo di visioni, preghiere, miracoli e santa devozione, mi confessa di aver perso la vocazione.
Certo il grande piano diabolico di SoloMacello non ha rivali per essenzialità ed economicità, e passerebbe il rasoiata d'Occam alla grande, ma organizzare gite di redenzione come quelle della mia nonna a Pietralcina, Roma, e altri bei posticini dove la chiesa di mostra in tutta la sua pomposa secolarità, con un reparto guide composto da metallari e satanisti e bombolette spray per tutti, sarebbe un piano da non sottovalutare. Non tanto per convertirli, che il mondo è pieno di chiese e una vale l'altra, quanto per colare la santa mortadella senza uccidere nessuno. E' un piano da cui non si trarrebbe certo un film decente (quelli con i morti, le torture, le sparatorie e gli inseguimenti), ma un bel documentarietto salterebbe fuori.

mercoledì 20 febbraio 2008

Bellabissìna

In uno degli ultimi Internazionale una ragazza italo di origine indiana lamentava che il simbolo della svastica, che nella sua cultura d'origine è un simbolo di vita e di buon augurio, non si può usare in occidente, diciamo per ovvi motivi. E' giusto rispettare chi ha sofferto a causa di quel simbolo (o meglio a causa di chi su quel simbolo ci ha marciato) ma - concludeva - è un gran peccato. Hitler si è fregato la gioia della svastica come Berlusconi si è fregato l'urlo di tutti noi quando guardiamo la nazionale.
Lo stesso si può dire di certe canzoni del fascio, come Faccetta Nera. Presa senza considerarne l'accezione politica si tratta di una bella canzone, decisamente meglio di Bandiera Rossa (e fors'anche di Bella Ciao): è più circense e allegra e decisamente meno seriosa. Bella da cantare, ma pregiudizievole, anch'essa per ovvi motivi.
Prendi eia-eia-alalà, non vuol dire niente, eia-eia-alalà, e tutti dietro, è geniale. Questo discorso lo fa un fascista, in pellegrinaggio alla tomba del duce, ad Accio, il fratello fascio in Mio fratello è figlio unico. Come dargli torto? Magari il tipo che l'ha inventato non era neanche fascio, oppure era fascissimo, ma cosa cambia? La connotazione postuma non ne cancella la genialità. E per quanto sia dura ammettiamolo perdìo.

Tutto non tanto per rivendicare il diritto del funambolo di parlare di corda in casa dell'impiccato, quanto per giustificare l'affermazione che Gimme More di Britney Spears è una gran canzone, checché ne dicano i miei compari. Senza offese, il more vomitoso del ritornello è la cosa più metal che ho sentito dai tempi in cui Phil Anselmo aveva la voce. Madonna, che ne sa una più di Piero Pelù, e si ricicla camaleontica senza sbagliare un colpo, affidandosi a musichieri valenti, insegna. Sarà la saggezza trasmessa salla saliva.

venerdì 15 febbraio 2008

La zonta che conta

La zonta è un'espressione di noi ggiovani dialettofoni, intraducibile in italiano televisivo se non con l'aggiunta o la quantità addizionata. La zonta corrisponde a un qualcosa in più che si riceve, di solito inaspettatamente. Che zonta si riferisce ad una gradita sorpresa insomma. La zonta che conta è un'elefantiasi dell'espressione in rima, come see you later (alligator).
Una volta i nerd erano quelli della foto e la loro epitome era per me lo sfigato di Riptide. Adesso lo fanno soprattutto per lavoro, sono mediamente più piacenti, alcuni non hanno gli occhiali e possono vantare anche delle relazioni col mondo esterno, quello tridimensionale. Sono i colletti nerd. Purtroppo al momento faccio parte della categoria. Come tutta la categoria, invece di approfittare dei momenti morti per riprendere le membra provate dalla sedentarietà, vago ramingo in internet leggendo blog e giornali online e cercando cose, (non) vedendo gente.

Se anche tu sei un colletto nerd questa non è la zonta, è la zonta che conta, gentilmente segnalata dal mio compare e consulente personale sui new media nuovo di pacca Mr.(don't call me)Toto.

giovedì 14 febbraio 2008

O'Bama


Berlusconi dice che il Partito del Popolo delle Libertà è nato dal popolo, che lotta per il precariato, che gli italiani dovrebbero pagare le tasse secondo il loro sentimento e che il condono è un bene perché così la gente non mente ma ammette. Dice che votare all'infuori di PPL e PD è onanismo. Vespa scaramanticamente lo chiama già presidente e dice questa cosa del partito delle Libertà di unire due partiti è proprio una novità assoluta, come se il tempo scorresse al contrario e il PD non l'avesse anticipato nella corsa al facciamolo in grande, facciamolo in centro (come se fosse una questione del l'ho fatto prima io). Veltroni purtroppo me lo sono perso, ma sicuramente avrà detto cose simili solo in maniera meno convincente, dimostrando di essere ancora un po' di sinistra. Cosa Rossa abbandona il nome da ciclo mestruale e si chiama La Sinistra, copiando l'idea a Storace, che mantiene alta la fiamma. Ferrara, che non se lo vede neanche, vuole mettere il naso nelle faccende di quelli che se lo vedono. Casini fa il fighetto, perchè ci sono voluti 15 anni per sdoganare la DC e adesso sarebbe un suicidio commerciale perdere il brand. Anche se mi sa che alla fine si mettono d'accordo.
Le cose sembrano già scritte.
Come sembrava che le cose fossero già scritte anche in Merica, ma pare che il negrone con la chiacchiera che acchiappa non ha mollato anche se gli dicevano dove vai negro? molla! e all'ultimo intertempo ha mezza ruota davanti alla vecchia baronessa che, dicono, è brava e buona ma ha perso il voto degli uomini perché non sa fare i pompini, segno di mancanza di devozione e generosità. Al momento di schiacciare IL bottone, un presidente nero è sempre meglio di un presidente con la sindrome premestruale. E poi metterebbe finalmente d'accordo le donne il fascino del potere con quelle col fascino dello sferlucchio negro.
Dopo questa serie di luoghi comuni di cui già mi vergogno: a destra e a manca dell'Atlantico, disgraziatamente, la cosa più probabile è che vinca il più telegenico.

domenica 10 febbraio 2008

Quella di Corona che intervista Corona, ovvero del pregiudizio

Luciano De Crescenzo mi è sempre parso un collione. L'unica cosa che apprezzo di lui è quando gli hanno chiesto cosa rimpiangi nella vita? e lui ha risposto di aver avuto pregiudizi. A me, che al tempo rimpiangevo di non aver goduto del vedere sul palco un tossico e un ubriacone (Nirvana e De Andrè), è parso più che plausibile, e l'ho assurta a mio rimpianto preferito. E' bello avere un rimpianto ancor prima di fare le pregiudicare, così te ne ricordi sempre.
Il vate delle nevi Mauro Corona lo ribadisce nella lunga intervista della sua quasi omonima Corona Perer: Il male di questo pianeta è il pregiudizio. Rigoni Stern mi ha detto che prima di dire una parola su un uomo devi aver mangiato con lui almeno 10 chili di sale, che equivalgono a 3000 minestre.
Parole tanto savie che sembrano uscite dalle medesime fauci del Profeta Lalù in persona. Me lo vedo, circondato di spezie e pezzi di manza, che pontifica trascinando la parola ma non per colpa del boccone che sta masticando beato chi non ha pregiudizi, in paradiso avrà diritto a quaranta viados.

Il resto dell'intervista è qui

sabato 9 febbraio 2008

Into the wild

Succede che un ragazzo di buona famiglia si stufa delle venalità, e dopo aver conseguito la laurea tanto agognata dai genitori aerospaziali, si libera di tutti i suoi averi e parte senza dire niente. Scopre l'ebbrezza della nullatenenza ed esplora la Merica, per finire sperduto e soddisfatto nei boschi turgidi dell'Alaska. Un romanzo di formazione on the road per niente beat. Il bello del film che il personaggio non è l'eroe idealizzato che ci si potrebbe aspettare, ma semplicemente un ragazzo che parte, trascinato da un idealismo sfrontato e ai limiti del fastidio. Armato di una tenacia edipica, tentando di scappare dalla civiltà ritrova il piacere perso nell'aridità delle cose solite (di un ragazzo di buona famiglia) sia nella solitudine del vagare hobo che in una serie di incontri che gli fanno capire che le cose solite sono ben altre. E poi il finale che non ti aspetti, che rende la vicenda ancora più succosa.
Succo per l'Alaska però, succo d'agrumo, mica azucar.

venerdì 8 febbraio 2008

Moccia Merda

Infastidito dalla lentezza del mulo nello scaricare i film validi, ho scaricato Ho voglia di te, non fosse che per il prurito masculo per Laura Chiatti che, anche se non sa come scaricare un mp3 e vive ancora coi suoi, è un bel pezzo di manza.
Succede che Step torna da Nuova Yorke, dove ha cazzeggiato alla grande, spezzato cuore, provocato risse senza mai perdere un dente. E' il solito James Dean dei poveri e fa il figo col fratello rincoglionito, che si fa una sacher al giorno con le buste della Cameo (appena finito il film sono corso al despar a comprarmene una scatola). Succedono un po' di cose, su cui il film indugia con l'approfondimento di un libro di Moccia, appunto. C'è lo stronzo che guida la moto dell'amico morto, che nell'1 è distrutta e qui ricompare perfetta e ricomposta come un terminator. Dico solo che lui la riconquista correndo in riserva. La sorella della sua ex (altro pezzo, ma giovinastra) prende le droghe e si fa un tipo a caso e rimane farcita come un krapfen, lo dice il test. Muore la madre, lui piange, anche se fino al giorno prima l'avrebbe crocifissa ad Abu Grahib. Rivede la sua ex (altro pezzo di manza, totalmente incapace di recitare ma chi se ne fotte) ma non gli s'alza. Eh sì, perchè appena arrivato incontra Laura Chiatti, se la fa poco dopo, poi alla fine esce che lei era innamorata di lui da una vita e lo fotografava come un paparazzo in calore. Lui ci rimane male ma dopo, nel giro di mezza giornata, stampa un cartello di 10metrix3 con loro che limonano e con scritto Ho voglia di te. Un romanticone. Al prossimo passeranno direttamente al caro buon vecchio metodo: Appoggia l'asta sulla coscia.
Se 3 metri sopra il cielo era una mezza cagata, questa è una di quelle belle pastose, da vino rosso. E il candido sen di Laura Chiatti è saziante quanto una portata di un ristorante di lusso.

giovedì 7 febbraio 2008

Elezzioni Antecipate

Queste lezioni anticipate fanno contente sostanzialmente due categorie i persone:
1. quelli che quando c'era lui (uno a caso dei due) e rivogliono indietro la nostra amata banana republic
2. quelli che sono ansiosi di completare la raccolta punti della cartella elettorale.

Eh sì, perché da quando la scheda elettorale ha i bollini si è aperta la bagarre a chi arriva primo all'ambito premio. Io che ho mancato un paio di referendi a causa dell'emigrazione non vedo l'ora di toccare con mano la tovaglia tricolore, di mangiarci sopra, magari anche insozzarla di ragù o di blauburgunder, poi pulirmi le mani nei tovaglioli con lo stemma della provincia, come fanno un po' tutti. Io purtroppo dovrò accontentarmi di farlo solo letteralmente, mentre tanti godono del privilegio di farlo metaforicamente.
Sono uno che si sa accontentare.