DE ANDREAS HOFER - Rodolfo Rudi Cumitè (2019) |
Ok il mio disco si chiama No Hablo Ladino, è il primo disco della storia in nones bla bla bla. Il titolo mi è stato suggerito da un amico romano a cui ho raccontato del nones e del mio progetto. L'idea era di avere un titolo non in nones, affinché anche i furesti potessero capirne il senso. Ovviamente l'affermazione è sibillina. Se sei noneso o sai qualcosa di nones potresti anche sapere che esiste una questione aperta riguardo la cosiddetta ladinità del nones.
La mia conoscenza della questione si limita a sapere che:
1. La questione esiste
2. C'è di mezzo l'identità e ci son di mezzo dei contributi (e i nonesi sono i king dei contributi)
3. Se sento parlare ladino (quello trentino ovviamente) posso anche intenderlo e trovo somiglianze col nones (molte più di quante ne abbia il nones con l'italiano)
4. Esiste gente che qualcosa, ma non gliel'ho mai chiesto.
Ho pensato che avrei potuto chiederglielo e uscire finalmente da questa ignoranza.
Ho quindi contattato i seguenti esperti, che senza umiltà definirei i più grandi esperti di nones al mondo.
Sono i seguenti (in democristianissimo ordine alfabetico) (btw, li ringrazio ancora per la disponibilità!) <3 font="">3>
Sono i seguenti (in democristianissimo ordine alfabetico) (btw, li ringrazio ancora per la disponibilità!) <3 font="">3>
Laura Abram, linguista, ha scritto due tesi sul nones, cura una rubrica "ParoleNos3" sulla rivista Nos Magazine, fan del nones.
Cristian Bresadola, fondatore e presidente dell'Associazione Linguistica El Brenz, organizzatore di Os Dal Nos, concorso poetico in nones solander, rabies e
pegaes.
Caterina Dominici, fondatrice dell'Associazion Nonesa Ladina di Rezia e dell'Accademia Nonesa, cheerleader maxima del nones, politica ubiqua old school.
Caterina Dominici, fondatrice dell'Associazion Nonesa Ladina di Rezia e dell'Accademia Nonesa, cheerleader maxima del nones, politica ubiqua old school.
Erika Maistrelli, laureata in linguistica con una tesi sul nones, allevatrice e caseificatrice(,) festaiola.
Massimo Paternoster, appassionato di nones, ladino e lingue minoritarie, ricercatore diy, spingitore della ladinità nonesa.
Liliana Turri, ex insegnante di italiano e tedesco nelle scuole dell'Alto Adige, è nel direttivo di Rezia e dell'Accademia Nonesa, la rubrica "Conoser El Nones - La Nossa Lingua" sulla rivista Il MeloMassimo Paternoster, appassionato di nones, ladino e lingue minoritarie, ricercatore diy, spingitore della ladinità nonesa.
Ho anche contattato:
Rosaria Mirenghi, linguista dell'Universita di Perugia, la cui risposta lol è stata (cito) "Io sto solo facendo una tesi di laurea sul Noneso. Il mio interesse si
ferma qui. Non so altro anche perché non è la mia lingua, io sono
originaria di Napoli."
Ho mandato a tutt* la stessa mail, con le stesse domande, che riporto in versione integrale. Inizialmente volevo fare un articolo fatto bene, ma poi sono rimasto stupito dalla molteplicità di approcci e delle visioni che stanno dietro al medesimo interesse.
Mi sono permesso di evidenziare le parti più interessanti (per me). Voi evidenziatevele a casa.
Mi sono permesso di evidenziare le parti più interessanti (per me). Voi evidenziatevele a casa.
Com’è nato il tuo
interesse particolare per il nones?
Massimo
Paternoster: Più che interesse per il nones (che ho sempre avuto), il mio
interesse riguarda il concetto di ladinità della lingua nonesa.
Tutto nasce da una piccola discussione avuta in casa con mia sorella nel 2008, mia sorella sosteneva che il nones fosse una lingua e come tale dovesse essere insegnato anche a scuola, io ero di parere contrario, anzi sostenevo che data l’esistenza di molte varianti non si potesse parlare di una singola lingua ed ero completamente contrario al riconoscimento del nones come lingua ladina.
Nei giorni successivi ripensando alla discussione mi resi conto che non avevo nessuna conoscenza linguistica che potesse sostenere le mie affermazioni.
Tutto nasce da una piccola discussione avuta in casa con mia sorella nel 2008, mia sorella sosteneva che il nones fosse una lingua e come tale dovesse essere insegnato anche a scuola, io ero di parere contrario, anzi sostenevo che data l’esistenza di molte varianti non si potesse parlare di una singola lingua ed ero completamente contrario al riconoscimento del nones come lingua ladina.
Nei giorni successivi ripensando alla discussione mi resi conto che non avevo nessuna conoscenza linguistica che potesse sostenere le mie affermazioni.
Laura
Abram: Sono nata e
cresciuta a Ronzone, quindi si può dire, senza tanta meraviglia, che il nones
sia la mia lingua madre (ho fatto proprio un’attività su questo tema ieri a
scuola con i bambini, in occasione della giornata mondiale della lingua madre).
Infatti, finchè non sono giunta alla scuola materna, il nones è stata l’unica
lingua che ho sentito, accompagnata forse da un po’ di trentin, parlato da mia
nonna. Il mio interesse di tipo affettivo per il nones è quindi ovvio. Il mio
interesse scientifico per il nones, invece, è nato all’università ed è
scaturito dall’unione di due avvenimenti:
- il mio
incontro con molteplici dialetti (padovano, rovigotto, bergamasco, vicentino,
bresciano, friulano, folpo..) che stuzzicavano costantemente la mia curiosità e
la mia fantasia e mi portavano a continui paragoni e confronti con il mio,
spingendomi inevitabilmente ad approfondirlo e a conoscerlo meglio;
- il mio
incontro con la dialettologia, questa meravigliosa branca della linguistica che
mi permetteva di dare esami (e scrivere anche due tesi) su un tema a me
talmente caro che non sembrava neanche di dare degli esami, ma di portare
avanti un hobby. Dialettologia unita a 3 donne con la D grande: Laura Vanelli,
Gianna Marcato, Teresa Vigolo. La prima: mia relatrice due volte, linguista
espertissima e coltissima, grande bevitrice di spritz, friulana doc, molto alla
mano, autrice di milioni di pubblicazioni sul tema del ladino; la seconda:
pioniera della dialettologia padovana assieme al suo maestro Pellegrini,
appassionata ed esperta di tutti i dialetti, della sociolinguistica ad essi
legata, di tutti i fenomeni dialettali che potessero interessarmi, prof con la
quale ho dato 2 degli esami più belli della mia carriera; la terza:
professoressa di semantica e lessico, anch’essa appassionatissima di dialetti,
sposata con uno di Salter e (anche per questo) esperta della Val di Non, dove
ha svolto molteplici indagini dialettali. Nota triste: tutte e tre ormai
pensionate..a quanto pare donne così la mamma non ne fa più, o comunque molte
meno.
Caterina
Dominici: Nasce sia per amore della mia terra —
sono nata nel dopoguerra e la vecchia lingua nonesa riusciva a interpretare gli
stati d’animo dell’epoca con la sua carica potente di significati e di
espressioni, sfumature che non esistono nella lingua italiana — ma più di tutto nasce dal mio essere latinista. Invero
mi sono laureata all’Università Cattolica a Milano dove il latino si studiava
in maniera intensa, tanto che molti abbandonavano. Effettivamente era davvero
impossibile un tempo per un non latinista completare gli studi: erano previsti
per la lingua latina tre esami scritti in stile ciceroniano.
Liliana
Turri: Fin da piccola ho avuto un grande interesse per la mia lingua; a otto
anni in collegio a Rovereto notavo che si distingueva molto dai dialetti delle
altre bambine trentine (più comprensibili, più simili alla parlata urbana) e mi
piaceva esibire parole, modi di dire, coniugazioni di verbi e altre amenità
linguistiche nonese alle mie compagne.
Cristian
Bresadola: Il mio
interesse diciamo che è maturato negli anni passando dalla scoperta della
storia (mai raccontata da nessuno) delle nostre Valli. Premetto che io ragiono
sempre come Valli del Noce perché per me (e non solo) il popolo Anauno è
costituito da nonesi e solandri. La scintilla che ha fatto nascere in me questa
curiosità è stato un fortuito incontro, nell’ormai lontano 2007, con 2 ragazzi
scozzesi nelle campagne di Nottingham. Avevano appena terminato il servizio
militare in un battaglione di artiglieria che aveva per inno “The Green Hillsof Tyrol”. Da li è partita la ricerca, l’incontro con altri curiosi, la
costituzione de “El Brenz”, la comprensione dell’importanza delle nostre parlate
come espressione della nostra cultura etc.
Cosa fai/ hai fatto per
il nones?
Caterina
Dominici: Ho fondato l’Asociazion Nonesa Ladina Rezia assieme al
linguista e glottologo di Oxford David Wilkinson, che ha subito individuato il
noneso come lingua neolatina appena arrivato in Val di Non. Rezia, che coordino
da 25 anni, promuove lo studio e l'approfondimento della lingua nonesa-ladina.
Un’associazione molto attiva sul territorio che —
dapprima con il presidente Giulio Filippi recentemente scomparso, e che
ricordiamo con affetto anche per il suo profondo desiderio di conservare il
patrimonio linguistico della sua valle, poi con l’attuale presidente già
sindaco di Malosco Walter Clauser — si muove presso le
Istituzioni provinciali in modo da favorire il processo verso il riconoscimento
ufficiale. Sottolineo favorire l’iter, perché per lo Stato italiano siamo già
una minoranza linguistica, dato che si è superato il quorum previsto dalla
legge.
In
questi anni inoltre, seguendo l’idea del poeta Bruno Francisci, ho fondato
assieme all’attuale presidente Candido Marches l’Accademia della Lingua Nonesa
Ladina che porta avanti uno studio sull’antica parlata nonesa ladina e che è
stata di supporto per alcune pubblicazioni in lingua nonesa.
Liliana
Turri: Da sempre esprimo a parenti e conoscenti la mia convinzione che il nones
è una lingua, chiaramente neolatina, non un dialetto e che ognuno di noi parlanti
si deve impegnare a parlarla, e all’occasione contribuire con il suo impegno,
la sua partecipazione a iniziative a supportarne la salvaguardia. Una lingua è
un inestimabile patrimonio culturale, come affermano i linguisti più
accreditati. Collaboro con il mensile valligiano “Il Melo” in quest’ottica.
Massimo
Paternoster:
1
Ricerche in internet.
A partire dalla ricerca su Wikipedia allo studio della lingua sui siti dei vari istituti ladini
www.micura.it www.istladin.net www.istitutoladino.org www.arlef.it www.scuelefurlane.it www.frr.ch www.liarumantscha.ch fino alla ricerca più approfondito su siti di Università italiane ed europee.
A partire dalla ricerca su Wikipedia allo studio della lingua sui siti dei vari istituti ladini
www.micura.it www.istladin.net www.istitutoladino.org www.arlef.it www.scuelefurlane.it www.frr.ch www.liarumantscha.ch fino alla ricerca più approfondito su siti di Università italiane ed europee.
2.
Ricerche su pubblicazioni e su libri.
A titolo esemplicafitivo allego il link di un libro di Graziadia Isaia Ascoli, nel quale si può trovare uno studio approfondito della lingua ladina
www.archive.org/details/ArchivioGlottologicoItaliano/page/n7/mode/2up
A titolo esemplicafitivo allego il link di un libro di Graziadia Isaia Ascoli, nel quale si può trovare uno studio approfondito della lingua ladina
www.archive.org/details/ArchivioGlottologicoItaliano/page/n7/mode/2up
3
Ricerche grammaticali.
Due le fonti:
- la tesi di laurea di Bertagnolli Veronica (Ca' Foscari, 2007/2008) sullo studio del nones come lingua e non come dialetto;
- la ricerca di Franziska Maria Hack, University of Oxford, pp. 137-164, reperibile come "Investigating Interrogation in the Northern Italian Area - or What Corpora Can Tell Us and Which Questions they Leave Open" al link http://corpus.revues.org/1871.
Due le fonti:
- la tesi di laurea di Bertagnolli Veronica (Ca' Foscari, 2007/2008) sullo studio del nones come lingua e non come dialetto;
- la ricerca di Franziska Maria Hack, University of Oxford, pp. 137-164, reperibile come "Investigating Interrogation in the Northern Italian Area - or What Corpora Can Tell Us and Which Questions they Leave Open" al link http://corpus.revues.org/1871.
4.
Ricerche sul territorio
Visitando e studiando personalmente tutti i territori che erano ladini e che lo sono tuttora.
Geograficamente si va da Muggia in provincia di Trieste a Disentis/Muster nel cantone dei Grigioni in Svizzera, passando per: Friuli Venezia Giulia ( Udine, Monfalcone, Grado, Palmanova, Gorizia,
Gemona, Tolmezzo, Erto, più una serie di piccole località), Veneto (la provincia di Belluno, ed in particolare le zone geografiche dell’Agordino, del Cadore, del Comelico e di Ampezzo, in queste zone i comuni e le località visitate sono decine), Provincia Autonoma di Bolzano (Val Gardena tutti i comuni e le loro frazioni, Val Badia tutti i comuni e le frazioni, Val Venosta tutti i comuni, Bassa Atesina tutti i comuni, Val d’Ega tutti i comuni), Provincia Autonoma di Trento (Val di Fassa tutti i comuni e le frazioni, Val di Fiemme tutti i comuni e le frazioni, Val di Cembra tutti i comuni), Cantone dei Grigioni in Svizzera (numerosi comuni e località dei distretti dove si parlano le cinque varianti sursilvano, sottosilvano, surmirano, putèr e vallader).
Durante i viaggi in queste località mi recavo presso bar, ambulatori medici, chiese, negozi, mercati, e altri luoghi pubblici, ove era possibile ascoltare persone del luogo che parlavano in lingua madre, il mio obiettivo era quello di capire se c’erano similitudini tra la parlata del luogo ed il nones.
5. Ricerche tramite interviste.
Nel 2010 ho svolto un’indagine tramite interviste sul territorio. Il territorio di indagine comprende tutti i comuni, le frazioni e le località della Val di Non, tutti i comuni della Val di Sole, Mezzocorona, Mezzolombardo, Lavis, Trento e Pergine Valsugana. Durante l’intervista facevo ascoltare all’interlocutore le seguenti registrazioni ( a volte 1 a volte 2 a volte tutte e 3, a seconda di come si sviluppava poi l’approfondimento del primo ascolto).
www.scrin.net/web/scheda.asp?categoria=3&scheda=134&lingua=2&traccia=id134 (Moenat)
www.scrin.net/web/scheda.asp?categoria=3&scheda=27&lingua=2&traccia=id27
(Brach)
www.scrin.net/web/scheda.asp?categoria=3&scheda=101&lingua=2&traccia=id101
(Cazet)
Alla fine dell’ascolto chiedevo all’intervistato di indicarmi la provenienza della persona o delle persone che avevano sentito.
Le risposte che ho segnato sono state Val di Non, Val di Sole, Alta Val di Non, Vervò, Revò, Val di Rabbi, Fondo, Cavareno… le persone cercavano di capire di quale paese delle due valli anauniche provenisse la parlata, e quando spiegavo che in realtà erano della Val di Fassa, le reazioni andavano dalla meraviglia all’incredulità e qualcuno chiedeva di vedere da dove avevo preso la registrazione e solo allora credeva alla mia spiegazione.
Questa ricerca ed in particolare le risposte degli intervistati sono state per me un grosso stimolo per allargare le ricerche riguardanti la ladinità nonesa.
Visitando e studiando personalmente tutti i territori che erano ladini e che lo sono tuttora.
Geograficamente si va da Muggia in provincia di Trieste a Disentis/Muster nel cantone dei Grigioni in Svizzera, passando per: Friuli Venezia Giulia ( Udine, Monfalcone, Grado, Palmanova, Gorizia,
Gemona, Tolmezzo, Erto, più una serie di piccole località), Veneto (la provincia di Belluno, ed in particolare le zone geografiche dell’Agordino, del Cadore, del Comelico e di Ampezzo, in queste zone i comuni e le località visitate sono decine), Provincia Autonoma di Bolzano (Val Gardena tutti i comuni e le loro frazioni, Val Badia tutti i comuni e le frazioni, Val Venosta tutti i comuni, Bassa Atesina tutti i comuni, Val d’Ega tutti i comuni), Provincia Autonoma di Trento (Val di Fassa tutti i comuni e le frazioni, Val di Fiemme tutti i comuni e le frazioni, Val di Cembra tutti i comuni), Cantone dei Grigioni in Svizzera (numerosi comuni e località dei distretti dove si parlano le cinque varianti sursilvano, sottosilvano, surmirano, putèr e vallader).
Durante i viaggi in queste località mi recavo presso bar, ambulatori medici, chiese, negozi, mercati, e altri luoghi pubblici, ove era possibile ascoltare persone del luogo che parlavano in lingua madre, il mio obiettivo era quello di capire se c’erano similitudini tra la parlata del luogo ed il nones.
5. Ricerche tramite interviste.
Nel 2010 ho svolto un’indagine tramite interviste sul territorio. Il territorio di indagine comprende tutti i comuni, le frazioni e le località della Val di Non, tutti i comuni della Val di Sole, Mezzocorona, Mezzolombardo, Lavis, Trento e Pergine Valsugana. Durante l’intervista facevo ascoltare all’interlocutore le seguenti registrazioni ( a volte 1 a volte 2 a volte tutte e 3, a seconda di come si sviluppava poi l’approfondimento del primo ascolto).
www.scrin.net/web/scheda.asp?categoria=3&scheda=134&lingua=2&traccia=id134 (Moenat)
www.scrin.net/web/scheda.asp?categoria=3&scheda=27&lingua=2&traccia=id27
(Brach)
www.scrin.net/web/scheda.asp?categoria=3&scheda=101&lingua=2&traccia=id101
(Cazet)
Alla fine dell’ascolto chiedevo all’intervistato di indicarmi la provenienza della persona o delle persone che avevano sentito.
Le risposte che ho segnato sono state Val di Non, Val di Sole, Alta Val di Non, Vervò, Revò, Val di Rabbi, Fondo, Cavareno… le persone cercavano di capire di quale paese delle due valli anauniche provenisse la parlata, e quando spiegavo che in realtà erano della Val di Fassa, le reazioni andavano dalla meraviglia all’incredulità e qualcuno chiedeva di vedere da dove avevo preso la registrazione e solo allora credeva alla mia spiegazione.
Questa ricerca ed in particolare le risposte degli intervistati sono state per me un grosso stimolo per allargare le ricerche riguardanti la ladinità nonesa.
Laura
Abram: Gli ho
dedicato 2 tesi di laurea (laurea triennale in lettere moderne, laurea
magistrale in linguistica);
Lo parlo
quotidianamente cercando di tenere vive anche le espressioni più veraci che me
lo fanno amare così tanto (es. “far ocli come zinocli”, “eser ont come ’n
asil”, “no aver tute le fasine al cuert” ecc.);
Ho
contribuito alla raccolta dati per l’ASIt (Atlante Sintattico Italiano)
realizzato dall’Unipd;
Ho scritto
un articolo per la rivista online Quaderni di lavoro dell’ASIt;
Ho
collaborato alla realizzazione della cartina della montagna del comune di Cles
che riporta i toponimi in dialetto;
Ho scritto
una sintetica storia del nones sul calendario clesiano 2018;
Scrivo da un
anno e mezzo sul Nos la rubrica ParoleNos3 in cui ogni volta spiego l’orgine e
la storia di qualche simpatica parola nonesa;
Scrivo sul
giornalino del comune di Rumo parlando del nones da vari punti di vista;
Ho svolto
un’indagine all’asilo per capire se i bambini sanno cos’è il nones;
Ho scritto
un capitolo del libro sulla borgata di Cles che uscirà prossimamente;
Scrivo i
papiri di laurea in nones;
Correggo e
rileggo le poesie in nones di mia suocera;
Lo insegno
ai bambini a scuola quando le colleghe non mi sentono;
Lo uso per
spiegare il tedesco o l’inglese se in classe mi viene utile;
Canto le
canzoni di Carlo Piz e Felix Lalù e le insegno agli amici;
Cristian
Bresadola: Direi
di aver fatto, insieme ad altri appassionati, alcune cosucce che possono dare
un contributo alla valorizzazione delle varianti del ladino anaunico. Ladino
anunico viene dall’importante ricerca durata 15 anni, dell’università di
Salisburgo, capeggiata dal prof. Roland Bauer. Con l’Associazione storico culturale linguistica El Brenz, abbiamo percorso migliaia di km,
incontrando decine, se non centinaia di persone, in Engadina, Friuili (soprattutto
Carnia), Occitania, Catalunia, Austria per conoscere e confrontarci. Oltre a
portare avanti il progetto Os dal Nos, abbiamo prodotto il documentario Fioi
dal Nos, da 3 anni el Lunari dal Nos, organizzato conferenze e serate.
Quali sono le evidenze
scientifiche che il nones sia una variante del ladino?
Liliana
Turri: Le più evidenti, quelle che anche all’orecchio di un profano richiamano
inequivocabilmente le altre varietà ladine dell’arco alpino, sono la
palatizzazione delle velari c e g davanti a a (ciasa, ciavei, giambe,
gialine), la vocalizzazione della elle
davanti a consonante dentale (ciaut, aut, saut); la conservazione della elle nei gruppi consonantici bl, cl, fl, gl e pl (blanc, clamar, glaz, plen, flanc) e la semplificazione di qu in
K (cant, cater, aca). Si potrebbe continuare, ma un’analisi scientifica
completa non può trovare spazio in un’intervista.
Cristian Bresadola: Tralasciando
al momento il fatto che le valli del noce sono abitate dal Neolitico (a
differenza di diverse zone riconosciute ladine che sono ufficialmente
riconosciute), c’è parecchia letteratura in merito. Partendo dalle importanti
ricerche di Graziadio Isaia Ascoli (1829-1907),
Quaresima, Paul Scheuermeier (1888-1973) fino ad arrivare a Roland Bauer, non vi è alcun dubbio sulla ladinità,
documentata, delle Valli del Noce.
Caterina
Dominici: Le evidenze scientifiche che provano la caratterizzazione che il
Nones sia una vera e proprio lingua di origine neolatina sono in particolare
gli studi linguistici che sono stati effettuati a livello grammaticale da vari
studiosi, sia attualmente che in tempi più remoti.
Quali “La Grammatica Nonesa
Ladina”, il testo che ha individuato le caratteristiche latine di questa lingua
curato della prof.ssa Ilaria Debiasi, con la prefazione del linguista
Wilkinson.
Anche il prof. Massimo Luciani, docente di diritto costituzionale
all'Università La Sapienza di Roma e avvocato specialista nel settore delle
minoranze linguistiche a livello internazionale, ha dedicato uno studio
approfondito che si è poi tradotto in un libro dedicato a questa parlata, “La Ladinità nonesa”.
Da menzionare anche la
prof.ssa Giulia Anzelotti e il prof. Gartner dell’Università di Innsbruck, ma
vi sono molti altri studiosi. Tutte le dichiarazioni di ladinità del noneso di
studiosi e linguisti, a partire dai primi dell’Ottocento, sono contenuti in
alcuni miei libretti, pubblicati sotto l’accurata
supervisione del linguista David Wilkinson.
Tra
le prove storiche della presenza della minoranza nonesa ladina la cartina
etno-geografica della Valle del Noce di metà Ottocento che riporta l’indicazione Ladiner sull’attuale Valle di Non, esposta
al Ferdinandeum di Innsbruck. Poi vi è l’Attestazione dell’Impero Asburgico che
dedicò una raccolta ai canti popolari, di cui una così intitolata: “Canti
popolari ladini della Valle di Non”.
La
presenza di una lingua neolatina in Valle di Non è stata avvalorata sia da
studiosi che da ricercatori che da poeti. Tra gli studi più significativi vi è
sicuramente quello condotto da Graziadio Isaia Ascoli ne “I saggi ladini”, uno
dei quali è dedicato proprio alla lingua nonesa ladina. Diversi autori e
letterati hanno, a partire dall’Ottocento, contribuito ad evidenziare
l’esistenza della parlata nonesa ladina. Da ricordare in particolare, i tre
volumi di Guglielmo Bertagnolli che raccoglie le poesie nonese dei poeti nonesi
del Ottocento fino a metà del Novecento, il poeta (tra i grandi poeti
dell’Ottocento) Pietro Scaramuzza, il nostro linguista Vigilio Inama e lo
studioso Enrico Quaresima che dopo un’attenta analisi edita il
"Vocabolario anaunico e solandro” dove sono evidenziate le concordanze con
le altre parlate ladine, ma aggiunge qualche cosa in più: “L’anaunosolandro
presenta anche spiccate caratteristiche sue proprie che lo distaccano
nettamente dai dialetti ladini”.
Erika
Maistrelli: Prima di capire se il noneso è ladino o meno, bisognerebbe cercare
di capire come si è sviluppata la storia della questione ladina.
Tutto
parte alla fine del 1800 quando alcuni studiosi iniziarono ad interessarsi di
come le lingue mutano nel tempo e nello spazio, individuando delle regolarità e
una logica nei mutamenti linguistici. È l'epoca in cui si iniziano a studiare
il sanscrito e i dialetti, prima d'allora snobbati a livello accademico, mentre
in questo momento considerati esempi di mutamento linguistico spontaneo, fonte
di interessanti spunti e supporto per teorie linguistiche. In questo fermento
nasce la questione ladina:
Alcuni studiosi si accorsero che c'erano delle
somiglianze in alcune varietà linguistiche di zone separate tra loro da altre
varietà linguistiche in parte diverse.
Le
tre zone di cui si sta parlando sono le tre varietà linguistiche che
costituiscono il gruppo linguistico ladino che venne “creato” dai linguisti in
questo momento storico poiché si accorsero appunto della presenza di
somiglianze tra questi tre dialetti che però erano privi di una continuità
territoriale: il ladino romancio, il ladino dolomitico e il friulano.
Si
iniziarono quindi ad indagare le cause di queste somiglianze e del perché non vi fosse, apparentemente, un continuum
linguistico-geografico tra queste varietà, le quali, appunto, erano
intervallate da altre varietà linguistiche che non presentavano tutti tratti
linguistici o li presentavano in parte.
Una
delle risposte che i linguisti si diedero a questo fenomeno, la si evince da
come viene chiamato il gruppo ladino nell'immagine soprariportata:
“reto-romanzo”: si tentò di proiettare
queste somiglianze a livello etnico-storico del periodo prelatino, ipotizzando
che le somiglianze fossero state causate dalla presenza di una popolazione
preromanica che influenzò il latino, i Reti; questa tesi però manca di prove
linguistiche e attendibilità storica e archeologica in quanto le uniche
informazioni arrivate fino a noi sui Reti provengono da documenti redatti dai
Romani e gran poco sappiamo sulla loro
lingua; inoltre questa tesi non spiega nemmeno perché solo in quelle zone si
presentano determinati fenomeni.
Successivamente
alcuni studiosi, approfondendo gli studi dei documenti scritti a disposizione
del periodo intorno all'anno Mille, si resero conto che i tratti considerati
tipici del gruppo linguistico ladino, come ad esempio la -s per il plurale come
nel latino, ma anche tratti come la palatalizzazione (la pronuncia ci cia cio
ciu cie) erano presenti, in fasi linguistiche precedenti, anche nelle zone che
spezzano il gruppo ladino.
E
qui arriviamo al fulcro della questione: quindi in realtà i tratti che definiscono
il gruppo ladino non sono altro che tratti conservativi rispetto al latino, un
tempo maggiormente diffusi in tutta la parte settentrionale dell'Italia, i
quali si sono mantenuti solo in alcune zone geograficamente e storicamente più
isolate, poiché le zone meno isolate come il Veneto e la Lombardia iniziarono
già a partire dall'anno 1000 una tendenza alla sprovincializzazione, subendo il
prestigio del toscano. Quindi queste somiglianze tra i tre gruppi considerati
ladini sono frutto di somiglianze in realtà casuali anche se riconducibili
tutte, o quasi, all'origine latina di questi dialetti, origine comune a tutti i
dialetti italiani e all'italiano stesso, che ricordiamolo è stato “creato” nel
1500 da letterati e grammatici partendo dal dialetto toscano.
Quindi,
rovesciando il quadro generale, se è vero che i fenomeni oggi definiti
ladini erano un tempo estesi ampliamente in Italia settentrionale, che cosa ci
autorizza a parlare in diacronia di ladino come contrapposto a
“settentrionale”? Perché non parlare di un “settentrionale arcaico”?
(Benoncà/Vanelli 2005)
Per
spiegare meglio la cosa, bisogna capire che dopo la caduta dell'impero romano
(476 d.c.), e quindi di un centro culturale e politico ben definito, il latino
parlato prese infinite strade e mutò apparentemente in modo arbitrario a
seconda della zona geografica, magari accentuando fenomeni già presenti durante
l'impero romano, perché in realtà nemmeno allora il latino era uniforme in
tutta la penisola; ecco perché parliamo di “settentrionale” intendendo con
questo termine un insieme di varietà dialettali accomunate da tratti
linguistici e derivante dal latino.
Se
il latino scritto rimase comunque abbastanza invariato e usato prettamente
nella scrittura scientifica fino in realtà al Settecento e in quella letteraria
fino a Dante, quello parlato continuò a mutare dando origine ai vari dialetti
italiani che caratterizzano la nostra penisola, anche per il fatto che questa
rimase divisa in tanti staterelli fino alla tardiva unificazione geo-politica avvenuta
nel 1861.
Quindi
tornando a noi, il noneso è ladino o no? E il ladino è una lingua?
Partiamo
dal secondo quesito: una lingua per essere tale non deve avere chissà quali
particolarità intrinseche che i comunissimi dialetti non hanno, ma una lingua la
fanno elementi extra linguistici! Come l'estensione territoriale, la presenza
di un centro culturale-politico-legislativo ecc… quindi secondo il mio modesto
parere, che si appoggia ad altri ben più autorevoli, non ha molto senso, nel
nostro contesto soprattutto, riconoscere il noneso-ladino come lingua o meno,
ma ha ben più valore e senso valorizzarlo per le sue peculiarità con tesi,
canzoni e altro, al fine di mantenerlo vivo per le generazioni future.
Per
quanto riguarda la prima domanda, tutto dipende da che significato vogliamo
dare alla parola “ladino” ma si può comunque certamente affermare che il noneso
presenta dei tratti linguistici che in parte lo accomunano a questo gruppo, ma
questo, nell'ottica che ho provato a riassumere sopra, non rappresenta
l'identificazione con un popolo preromanico e quindi con un'origine altra
rispetto al popolo italiano, o il riconoscimento di un dialetto speciale più
degli altri italiani, ma rappresenta semplicemente un fenomeno conservativo
rispetto al latino, fenomeno tipico di zone isolate geograficamente e
storicamente dalla Storia.
Laura Abram: Non è
semplice ripondere a questa domanda ma ci proviamo.
I grandi
studiosi del Ladino sono in primissima battuta G. I. Ascoli e poi, in qualità
di meraviglioso e validissimo dialettologo, anche Pellegrini. Secondo Ascoli,
le caratteristiche linguistiche che definiscono il ladino sono:
-
palatalizzazione di CA e GA (quindi esito palatale (=dolce) dei suoni che in
latino sono velari (=duri), come ad esempio gial da GALLUM, ciagn da CANEM).
Per quanto riguarda questo punto, ho una tesi di laurea magistrale da farti
leggere, se ti può interessare, con confronti anche con il Romancio, il
Gardenese, il Badiotto, il Friulano ecc. Altrimenti te la posso anche
raccontare.
-
conservazione dei nessi latini consonante+L (flà, plan, blanč, clamar, glaz)
-
conservazione delle -s di antica uscita (a noi è rimasta, ad esempio, la -s
delle II pers. sing. dei verbi: fas, das ecc.)
- e ed o
accentate che si rompono in dittongo (questo succede spesso anche in italiano);
- il
dittongo che proviene da o accentato si manifesta in UE/ÜE/Ö (e ci siamo anche
qui)
- la a
accentata, soprattutto se preceduta da palatale, volge in e (questo a noi non
succede, ma si vede in friulano o talvolta anche in val di Fassa dove, ad
esempio, casa si dice cesa)
Direi quindi
che il nones, differentemente da altri dialetti a lui vicini, corrisponde a
molte di queste caratterisiche e si può quindi definire appartenente al tipo
ladino. (ti allego anche la cartina del mio adorato pellegrini che sogno di
stampare in formato A0 e appenderla in studio. Come vedi la nostra zona è
classificata come anaunico-ladino).
Fai finta che non sia così piccolo |
Scrive,
inoltre, a tal propostito Laura Vanelli: "[...] le parlate ladine
conservano oggi una fase linguistica che presenta delle caratteristiche che
anche altre varietà settentrionali dovevano aver conosciuto in altre fasi
storiche, ma che poi sono state sostituite attraverso l’adozione di innovazioni
a cui quelle che oggi definiamo parlate ladine, nella loro “perifericità”, nel loro
“isolamento”, non hanno partecipato. Quei fenomeni che oggi definiamo come
“ladini” e che fanno definire una varietà come “ladina” dovevano un tempo
essere diffusi ampiamente nelle varietà settentrionali, per cui “ladino”
corrisponde in un certo senso a “settentrionale arcaico”. E qui si apre tutta
la questione relativa a: ma cosa vuol dire quindi “ladino”? della
quale ho ampia documentazione bibliografica (cartacea ma fotografabile),
se vuoi.
Massimo
Paternoster: Anche in
questo caso potrei inserire molte evidenze. Mi limito ad inserire due
documenti, in particolare nel primo troviamo le caratteristiche peculiari del
ladino (Val Gardena).
CARATTERISTICHE
PECULIARI DEL LADINO
Carateristiches
tipiches dl ladin
N valgun
ejëmpli per ladin de Gherdëina:
La palatalisazion
de CA y GA latins te cia y gia:
|
|
BUCCA(M)
|
bocia
|
CANE(M)
|
cian
|
CABALLU(M)
|
ciaval
|
GALLU(M)
|
gial
|
Lenizion
di cunsonanc sëurc ntervocalics:
|
|
–
Sonorisazion:
|
|
CATENA(M)
|
ciadëina
|
–
Spirantisazion:
|
|
SAPERE
|
savëi
|
– L toma
demez n cunsonant:
|
|
FORMICA(M)
|
furmia
|
L vën
mantenì l liam cunsonantich cun L (BL, CL, FL, GL, PL):
|
|
BLANK
(mprëst germanich)
|
blanch
|
CLAVE(M)
|
tle
|
FLATU(M)
|
fla
|
GLACIA(M)
[lat. rujenà]
|
dlacia
|
PLACERE
|
plajëi
|
L liam
cunsonantich CL- devënta tl ladin tl-, y GL- devënta dl-.
|
|
L resta la
desinënza -(e)s tl plurel maschil y feminil de sostantifs y agetifs:
|
|
i
ciulei-es scur-es
|
|
la
gialin-es spevi-es
|
|
Scemplificazion
(degeminazion) di cunsonanc dopli (geminates):
|
|
FLAMMA(M)
|
flama
|
TERRA(M)
|
tiera
|
VACCA(M)
|
vacia
|
L resta la
desinënza -(e)s tla segonda persona singulera dla formes di verbs:
|
|
tu mai-es
|
|
tu
ciant-es
|
|
Delabialisazion
de QUA latin te ka:
|
|
QUATTUOR
|
Cater
|
E come seconda evidenza inserisco
L’Atlante linguistico del ladino dolomitico e dei dialetti limitrofi, 1ª parte
Il progetto ALD-I è stato iniziato nel 1985 e ultimato nel 1998 colla pubblicazione di 7 volumi e 3 CD-ROM. Comprende 884 cartine linguistiche dove sono trattati argomenti della fonetica storica nonché quelli della morfologia nominale e verbale a livello elementare. Il questionario dell’ALD-I contiene 806 items tra le quali si trovano anche domande che mirano all’elicitazione non di forme ereditarie (e sviluppate quindi secondo le leggi fonetiche regionali) bensì “dotte”, cioè coniate sotto l’influsso del patrimonio latino e/o italiano (si vedano in merito le cartine seguenti dell’ALD-I: 180 il comune / i comuni, 360 il giudice, 382 l’inferno, 401 la legge ecc.). Il trattamento della morfologia elaborata, della sintassi nonché del lessico è stato riservato alla seconda parte dell’ALD (ALD-II).
Basi teoriche
Il progetto ALD si situa nella tradizione della geografia linguistica romanza classica, fondata da Jules Gilliéron (1854-1926) con l'ALF e continuata da Karl Jaberg (1877-1958) e Jakob Jud (1882-1952) con l'AIS. L'ALD fornisce la rilevazione e la documentazione delle competenze dialettali (o meglio basilettali) d’informatori in linea di principio plurilingui, i quali nei 217 punti d'indagine del territorio esplorato hanno la loro abitazione oppure si sentono "a casa". Oltre ciò si suppone che gli stessi parlanti, sotto l'aspetto linguistico, gestiscano lo spazio da loro abitato su un complesso gioco tra divergenze e convergenze dialettali. I dati dialettali raccolti nell'ambito del progetto ALD consentono di studiare adeguatamente oppure di conoscere più da vicino questo controllo basilettale dello spazio. Nello stesso tempo l'ALD rappresenta – analogamente al rapporto tra l'atlante nazionale francese ALF e i diversi atlanti regionali francesi (NALF) – un'esplorazione territorialmente limitata in confronto agli atlanti nazionali ad ampia rete d'esplorazione AIS e ALI.
Metodo d'indagine:
Esplorazione diretta sul campo attraverso dialettologi preparati.
Trascrizione immediata delle risposte dialettali elicitate, parallelamente alla documentazione sonora a scopo di verifica e archiviazione.
Diversamente dall'ALD-II, le domande del questionario venivano poste a due serie di informatori per ogni punto d'indagine, i quali si distinguevano, dal punto di vista sociologico, in due dei cinque criteri seguenti: sesso, età, professione, confessione e formazione.
Documentazione fotografica (“etnofotografia”)
Rete d’indagine:
La parte nord-orientale dell'Italia settentrionale e la Svizzera sud-orientale: superficie totale di circa 25.000 km², coperta da 217 punti d'indagine, distanza media tra i punti di rilevamento: circa 10 km. Regioni o province incluse (da Ovest a Est): la Bassa e l’Alta Engadina, la Lombardia orientale, il Trentino, la Ladinia brissino-tirolese (comprendente le parti ladinofone dell'Alto Adige/Südtirol, del Trentino e del Veneto settentrionale), il Veneto settentrionale e centrale ed il Friuli occidentale.
https://www.sbg.ac.at/rom/people/proj/ald/ald_home.htm
http://ald.sbg.ac.at/ald/ald-i/index.php?lang=it
In collaborazione con l’Associazione El Brenz di Malè ho contribuito allo studio del progetto dal quale è stato sviluppato il documentario “Fioi dal Nos”
Il progetto ALD si situa nella tradizione della geografia linguistica romanza classica, fondata da Jules Gilliéron (1854-1926) con l'ALF e continuata da Karl Jaberg (1877-1958) e Jakob Jud (1882-1952) con l'AIS. L'ALD fornisce la rilevazione e la documentazione delle competenze dialettali (o meglio basilettali) d’informatori in linea di principio plurilingui, i quali nei 217 punti d'indagine del territorio esplorato hanno la loro abitazione oppure si sentono "a casa". Oltre ciò si suppone che gli stessi parlanti, sotto l'aspetto linguistico, gestiscano lo spazio da loro abitato su un complesso gioco tra divergenze e convergenze dialettali. I dati dialettali raccolti nell'ambito del progetto ALD consentono di studiare adeguatamente oppure di conoscere più da vicino questo controllo basilettale dello spazio. Nello stesso tempo l'ALD rappresenta – analogamente al rapporto tra l'atlante nazionale francese ALF e i diversi atlanti regionali francesi (NALF) – un'esplorazione territorialmente limitata in confronto agli atlanti nazionali ad ampia rete d'esplorazione AIS e ALI.
Metodo d'indagine:
Esplorazione diretta sul campo attraverso dialettologi preparati.
Trascrizione immediata delle risposte dialettali elicitate, parallelamente alla documentazione sonora a scopo di verifica e archiviazione.
Diversamente dall'ALD-II, le domande del questionario venivano poste a due serie di informatori per ogni punto d'indagine, i quali si distinguevano, dal punto di vista sociologico, in due dei cinque criteri seguenti: sesso, età, professione, confessione e formazione.
Documentazione fotografica (“etnofotografia”)
Rete d’indagine:
La parte nord-orientale dell'Italia settentrionale e la Svizzera sud-orientale: superficie totale di circa 25.000 km², coperta da 217 punti d'indagine, distanza media tra i punti di rilevamento: circa 10 km. Regioni o province incluse (da Ovest a Est): la Bassa e l’Alta Engadina, la Lombardia orientale, il Trentino, la Ladinia brissino-tirolese (comprendente le parti ladinofone dell'Alto Adige/Südtirol, del Trentino e del Veneto settentrionale), il Veneto settentrionale e centrale ed il Friuli occidentale.
https://www.sbg.ac.at/rom/people/proj/ald/ald_home.htm
http://ald.sbg.ac.at/ald/ald-i/index.php?lang=it
In collaborazione con l’Associazione El Brenz di Malè ho contribuito allo studio del progetto dal quale è stato sviluppato il documentario “Fioi dal Nos”
Esistono
anche ricerche/studiosi che sostengono il contrario?
Liliana Turri: Non ne sono a conoscenza.
Come in ogni affermazione anche qui esiste chi dubita, chi contesta e chi nega,
le loro tesi sono facilmente smontabili sul piano linguistico e storico. Poi
c’è chi nega le evidenze per partito preso, per convenienza politica… Il benessere materiale poi esclude altri
interessi.
Massimo
Paternoster: Ho fatto poche ricerche in merito, dato che i dati delle mie
ricerche affermavano il contrario.
Laura Abram: Sicuramente, ma non
ho mai approfondito.
Cristian
Bresadola: Non ne ho trovate finora. Solo ostacoli di “convenienza politica”.
C'è stato un referendum
popolare a riguardo. Qual è stato il risultato? Cosa è successo dopo? A livello
politico (sia locale che provinciale) cosa è stato fatto finora?
Liliana Turri: Sulla base del censimento
del 2011 più di 10.000 cittadini anauni si sono dichiarati ladini del ceppo
ladino retico (la più consistente minoranza linguistica del Trentino) e e hanno
quindi il diritto di invocare a proprio favore la applicazione dell’ultimo coma
dell’articolo 15 dello statuto di autonomia.
Massimo
Paternoster: Non ci sono stati referendum a riguardo, sono stati fatti invece i
censimenti del 2001, del 2011 nei quali è stata data la possibilità ad ogni
abitante del Trentino di dichiarare l’appartenenza alla popolazione di lingua
ladina.
http://www.statistica.provincia.tn.it/binary/pat_statistica_new/popolazione/15CensGenPopolazione.1340956277.pdf
http://www.statistica.provincia.tn.it/binary/pat_statistica_new/popolazione/15CensGenPopolazione.1340956277.pdf
Caterina
Dominici: Secondo la legge n. 482 del 1999, che prevede la possibilità di
censimento per la dichiarazione di appartenenza ad una delle minoranze
linguistiche previste dalla Costituzione, vi sono stati ben due censimenti. I
dati dei censimenti fatti in terra nonesa risalenti al 2001 e al 2011 diedero
entrambi esito positivo. Precisamente la popolazione della Valle di Non si
dichiarò minoranza linguistica ladina per il 18% nel 2001 e per il 25% nel
2011, 10 punti in più rispetto al minimo previsto dalla legge (un quarto circa
della popolazione). Invero la legge n.
482 del 1999 prevede che se la popolazione di un territorio si dichiara
appartenente ad una minoranza linguistica per almeno il 15% è da considerarsi
minoranza linguistica.
Con
queste percentuali la popolazione della Valle di Non sarebbe già minoranza
linguistica ladina, ma per la Provincia di Trento il riconoscimento non è
automatico perché in
base ad un principio generale ogni variante allo Statuto della Provincia
Autonoma di Trento deve avere il parere anche della Giunta Provinciale. Ma per
lo Stato e per la Camera dei Deputati la popolazione della valle di Non è già
minoranza linguistica ladina, manca il riconoscimento ufficiale della Giunta
Provinciale.
Laura Abram:
Ecco. Adesso mi viene da ridere. Premesso che non so granchè di questo
referendum, non ho idea dei risultati né delle ripercussioni che può aver avuto
a livello politico/culturale, non ho nemmeno votato (probabilmente perché
ancora non potevo? boh), ho una mia semplice opinione in merito. Come si fa a
chiedere a un noneso se si definisce ladino? E’ come chiedere a una rana se si
definisce anfibio. La rana si sente rana. E’ viscida, ha una lingua lunga con
cui mangia le mosche, vive negli acquitrini e salta. Di conseguenza si sente e si
definisce rana. Se poi a livello scientifico abbiamo deciso che alcune delle
sue caratteristiche fisiche la rendono parte della sovracategoria degli anfibi,
va bene, allora si potrà definire anfibio. Ma non è che si sente un anfibio,
prende atto di esserlo. Stessa cosa vale per la persona nonesa, che si sente
nonesa perché parla noneso, vive in Val di Non, mangia i tortiei, va in
coscrizion, sa cosa vuol dire empurmo e sa anche che questo profondo
termine non si può tradurre ma si deve usare così. Come fa a sentirsi ladina?
Cosa la rende ladina? Probabilmente il fatto che il nones abbia delle
caratteristiche linguistiche che ci portano a capire che derivi dal ladino
(come già detto sopra), probabilmente il fatto che abbiamo la tradizione della
stella (anche se si sta perdendo e io la vedo solo a Revò ormai) che fa parte
della cultura ladina, o il cappello dei coscritti, anch’esso ladino e simile a
quelli usati dai Fassani. Tutto giusto e tutto vero, ma resta il fatto che
secondo me ladini non ci si sente, come non ci si sente anfibi; se ma si può
prendere atto di esserlo, dopo aver letto/ascoltato spiegazioni valide e
scientifiche in merito. Quindi un referendum popolare di questo genere per me
non ha nessun senso di esistere.
Certo è che
se abbiamo interessi politici e intendiamo strumentalizzare il nostro dialetto
per ottenere solidi, tutto fa brodo...
Cristian Bresadola: Il
censimento 2011 ha avuto un ottimo risultato in Val di Non (il 25% della
popolazione si è dichiarato ladino) e un discreto (dovuto a
disinformazione) risultato in Val di Sole (11%). Il “quorum” per essere
riconosciuti minoranza linguistica dallo stato italiano è fissato al 15%.
A livello politico è stato fatto poco a causa di un potente freno messo dalla
SVP. Se Val di sole e Val di Non vengono riconosciute comunità ladine, la
maggioranza della popolazione ladina si sposterebbe da Bolzano a Trento (siamo
60000 + 9000 fassani, badioti e gardenesi insieme sono circa 21000).
Chi si è esposto a
riguardo?
Caterina
Dominici: Innanzitutto l’ex parlamentare avv. Sergio de Carneri che ha portato
alla luce a livello politico la questione nonesa ladina, dimostrando
l’esistenza storica di questa parlata ladina. Tra gli esponenti della
Commissione dei 12, in particolare, desidero evidenziare il sostegno dell’ex
consigliera Franca Penasa. Mirabile poi l’impegno dell’ex parlamentare Mauro
Ottobre che ha fatto approvare alla Camera la mozione di riconoscimento della
ladinità nonesa. L’Assessore Claudio Cia, anche recentemente, ha dimostrato la
vicinanza ai diecimila nonesi ladini che si sono dichiarati tali nell’ultimo
censimento, parlando a favore di questa minoranza in un incontro tenutosi a
Cloz.
Liliana Turri: La situazione è rimasta
purtroppo invariata. Grande è stata la delusione di chi ha speso tanta energia
per diffondere e sensibilizzare la popolazione della valle, per renderla
cosciente della sua lingua e della sua cultura, perché si adoperi affinché
questo inestimabile patrimonio culturale non vada perduto.
Cristian Bresadola:
La prima ad esporsi è stata Caterina Dominici, anche se 10 anni prima di lei
Fausto Dell’Eva di Mezzana aveva organizzato una grande conferenza invitando
anche i Grigioni (è stato segato politicamente e ha abbandonato il progetto).
Altri sono l’avvocato de Carneri è naturalmente l’Associazione Rezia. Chi ha
sempre posto veti potenti è stato Dellai e tutto il suo entourage, nonché il
senatore Zeller SVP.
Panizza si è timidamente esposto come in piccola parte
anche Ugo Rossi.
Noi del Brenz avevamo chiesto colloqui con tutti i consiglieri
ed assessori della precedente legislatura. Al momento, con questa legislatura
abbiamo trovato muri.
Cosa è stato fatto a
livello culturale?
Caterina
Dominici: A livello culturale con il sostegno dell’Asociazion Nonesa Ladina
Rezia e in collaborazione con l’Accademia Nonesa Ladina sono stati pubblicati
diversi trattati, libri e anche un dizionario, il primo di semplice fruizione.
Presenta infatti le due varianti dal nòneso-ladino all'italiano e dall'italiano
e dal nòneso-ladino. Un dizionario di facile consultazione, pensato in
particolare per le nuove generazioni, nelle versioni sia dell'una che
dell'altra parte sono state riportate le caratteristiche principali di
pronuncia e di vocali della alta Valle di Non e della media-bassa Valle di Non.
Al “Dizionario noneso - ladino”, edito da Aldo Francisci di Padova, hanno
collaborato poeti, scrittori, ed esperti della nostra parlata ladina.
Vi
è inoltre la pagina dedicata (En Nones) nella rivista “Il Melo”, diretta dal
giornalista Giacomo Eccher, che mensilmente mantiene viva la cultura
nonesa-ladina. Una pagina curata da me che è molto seguita e apprezzata.
Tra
i libri in lingua nonesa ladina pubblicati da Rezia ricordiamo anche: “Orazion
en nones”, con contributi di vari poeti nonesi ladini a cura di F. Widmann;
“Nonesarie”, curato da Fabio Widmann e Dolores Keller; “Ombrie e soluster”,
Dalpiaz Antonietta; “En moment par parlar”, Francesco Canestrini; “Chi fazoleti blanci” di Joe Fellin curato
da Corrà Giovanni; “Sotto il cielo
d'Anaunia” di Dolores Keller; “Non fermarti a
sognare” di Giorgio Debiasi; "Ore viveste" di Tullio Pancheri;
"Ricordi e pensieri" di Luisa Taddei.
Tra
i testi più rilevanti che chiariscono gli aspetti e la caratterizzazione ed
evidenziano la presenza della parlata nonesa ladina, quale vera e propria
lingua di origine neolatina:
"Vocabolario
Anaunico e Solandro” di Enrico Quaresima;
“Ladinità
Nonesa Ladina”, la ricerca delle dimostrazioni di impianti di ladinità della
lingua nonesa, a cura di Caterina Dominici in collaborazione con studiosi e
ricercatori;
“La
Grammatica Nonesa Ladina” di Ilaria Debiasi;
“L’Autonomia
in Trentino. Percorso storico, legislativo, culturale e risvolti attuali
dell’Autonomia del Trentino” di Caterina Dominici;
“Dizionario
Nòneso-Ladino”, edizioni Francisci .
Liliana
Turri: A livello culturale si sono
pubblicate molte opere storiche, linguistiche, di letteratura dal 1700 in poi e
anche di scrittori e poeti contemporanei. Si sono organizzate molte serate sul
tema e c’è stata molta partecipazione.
Laura Abram: Vengono
organizzate serate, di vario genere e natura, che trattano il tema
“dialetto noneso” da svariati punti di vista: reading di poesie,
commento di libri, visione di video, incontri e dibatti ecc ai quali non
ho quasi mai partecipato perchè ho notato che è spesso difficile
parlare in maniera rilassata di queste questioni, anche quando si parte
con i migliori propositi. Poi gli animi si scaldano, entra in campo la
nostra parte nonesa più “di pancia” e si va a perdere ciò che a me piace
di una serata a tema linguistico: lo scambio di informazioni
approfondite, dimostrate e dimostrabili; quelle che non troverei al bar,
insomma.
Recentemente
è stato anche pubblicato un dizionario che mi ha lasciata abbastanza
delusa. L’ho comprato e l’ho analizzato, perchè non si può criticare in
maniera superficiale. Mi sono chiesta:
-
che scopo ha un dizionario che mi offre solo la traduzione nell’altra
lingua (noneso-italiano; italiano-noneso) di determinati termini senza
spiegare l’etimologia, i significati secondari ecc? Quindi quando ne ho
bisogno continuo a fare riferimento a quello del Quaresima.
-
perché non c’è una legenda fonetica? Credo sia importante specifiare la
pronuncia di dererminati termini, visto soprattutto che il noneso ha
talvolta dei suoni estranei all’italiano.
- perché nella parte italiana trovo “attrezzo = arnai, arciara” (per inciso, a Ronzone non usiamo nè l’uno nè l’altro, ma ho sempre sentito alzara) e poi in noneso non esistono i lemmi arnai, arciara, alzara, arzara..? Costruire
un dizionario credo sia difficilissimo e penso proprio che io non mi
sentirei mai in grado, proprio perchè bisogna stare attenti a moltissime
cose; non so come ha fatto da solo Enrico Quaresima. Nella
prefazione si dice anche che è fatto per i giovani, uno strumento snello
per aiutarli a non perdere la loro lingua, ma a me è parso che in
questo volume ci sia solo una piccola parte della lingua nonesa.
-
perchè mettere solo le pronunce o le parole usate in determinate zone
della valle? so che il noneso è veriegatissimo e quindi bisognerebbe
produrre un tomo enorme, ma un dizionario dovrebbe essere imparziale.
Infine,
e poi chiudo con questa storia, mi sono chiesta: quando ci si sente
abbastanza esperti di una lingua da poterne scrivere un dizionario?
Ammiro
la buona volontà e soprattutto la passione che sono dietro a questo
lavoro, ma ho paura che si rischi di banalizzare questioni importanti e
complesse.
So
anche che esistono assolciazioni di vario genere che uniscono gli
amanti del nostro dialetto..ma non ho mai voluto approfondire perchè
avevo paura di trovare degli ultras del nones e io sono una persona
tranquilla da posto numerato in platea.
Cristian
Bresadola: È stato fatto molto in realtà. Oltre alle nostre produzioni vi sono
dizionari (rabies, nones, solander, grammatica nonesa) e negli ultimi anni
anche grazie a Paolo Antonioni dal punto di vista musicale c’è stato fermento.
E' davvero così
importante che il nones venga riconosciuto come una variante del ladino?
Caterina
Dominici: La domanda non coglie l’essenza della ladinità nonesa, perché ladino
vuol dire neolatino si tratta della parlata di alcune valli alpine (dal Friuli,
alle Engadine, alla Val di Non) che nei secoli hanno continuato a parlare la
lingua latina, giacché facevano tutte parte dell’Impero romano. In pratica
queste parlate hanno conservato la loro origine latina che si è sì trasformata
nei secoli, ma ha conservato l’impianto linguistico di base. I barbari infatti
non riuscirono a raggiungere alcune valli e in particolare la Valle di Non.
Infatti il noneso ladino, a differenza di altre lingue ladine, ha conservato la
coniugazione de verbi, la sintassi del latino molto più di altre lingue ladine.
Liliana
Turri: Ho già risposto sopra, non
riconoscere il nones come lingua significa non dare quel sostegno di cui ha
bisogno perché questa lingua, la sua cultura non scompaiano, non vadano perse
lasciando il posto ad un appiattimento linguistico, livellamento verso il basso
a cui porta la scomparsa di ogni lingua e della sua cultura.
Laura Abram:
Assolutamente no. Sarebbe come mettere en sfioč su ’n porcet. Il porcet
rimane fantastica fonte di delizie (lugiange, salami, lardo, speck, wurstel,
brusti per chi li ama) con o senza sfioč.
Serve se
vogliamo spillare soldi alla provincia piangendoci addosso come minoranza in
via di estinzione, allora sì che serve.
Cristian
Bresadola: Ritengo sia molto importante principalmente per l’autonomia che le
nostre valli avrebbero soprattutto in tema di istruzione e cultura oltre a
fissare delle basi per coltivare una sana identità che per altro abbiamo già.
Ti invito a leggere la legge che norma il riconoscimento che è la 482 del 99 https://www.camera.it/parlam/ leggi/99482l.htm
Cosa succederebbe se il
nones fosse infine riconosciuto come una variante del ladino?
Caterina
Dominici: Contestiamo la variante! È una lingua ladina, non una variante. Il
riconoscimento ufficiale permetterebbe a questa lingua di sussistere.
Salvaguardare un patrimonio linguistico di un’intera valle che nel corso dei
decenni rischia di perdere terminologie, caratteristiche e battute. Il caso più
eclatante: “Mi faruesi” io farei, dal più che perfetto congiuntivo latino corre
il rischio di trasformarsi in “Mi faria”, specialmente a causa delle
inflitrazioni del dialetto trentino.
Quali sarebbero i
vantaggi nello specifico?
Caterina
Dominici: La possibilità di effettuare ricerche, pubblicazioni storiche
culturali e d’indagine sull’antica storia e su quella attuale. Vi sarebbero
sicuramente dei collegamenti Istituzionali con i popoli delle altre parlate
ladine: bellunese, friulano ed engadinese. Quest’ultima lingua romanza parlata
in Svizzera a molte affinità con il noneso-ladino, ecco perché siamo assieme al
presidente di Rezia Walter Clauser siamo stati convocati recentemente in un
meeting istituzionale dedicato alle minoranze. Perfino in Svizzera hanno capito
l’importanza di mantenere viva l’unica parlata retica-ladina italiana.
Liliana
Turri: Il riconoscimento del nones come lingua minoritaria spronerebbe la
minoranza ad un maggior uso orale dello stesso grazie ad una presa di
coscienza; l’istituzione di corsi di lingua, di storia e di geografia della
valle la renderebbe più conscia della sua identità, che accostata ad altre
acquisterebbe valore. Secondo Pier Paolo Pasolini "perdere un mezzo di
espressione di pensiero e sentimento è una sconfitta, una perdita per
tutti".
A livello politico il riconoscimento del nones darebbe quei vantaggi
che ogni riconosciuta minoranza ha, cioè più potere nel riconoscimento delle
proprie peculiari necessità culturali e territoriali in sede provinciale. Se ne
avvantaggerebbero anche il turismo e l’economia.
Inoltre, l’autonomia provinciale viene rinfacciata in questi ultimi
anni come privilegio dal resto dell’Italia, una maggiore presenza di minoranze
riconosciute giustificherebbe per chi la contesta questa autonomia.
Hai qualcosa da
aggiungere?
Caterna
Dominici: Stiamo aspettando l’applicazione di una legge dello Stato dal 2001,
ma in particolare dal 2011 dopo il risultato ottenuto dall’ultimo
censimento. La legge n.482 prevede che il Consiglio provinciale prenda atto
dell’esito del censimento ed ero riuscita a fare approvare la presa d’atto del
riconoscimento nel 2013 nella mia ultima legislatura, ma l’atto decisivo doveva
assumerlo la Giunta Provinciale. Non l’ha fatto la Giunta di Dellai, ci
auguriamo possa provvedere al riconoscimento l’attuale Giunta dando un seguito
all’espressione di una volontà popolare
e a un censimento previsto dalla legge.
Cristian Bresadola: Viva le Valli del Noce e le sue lingue anauniche!
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