Il basket è quel gioco con la palla a forma di arancia sbucciata. È punto quando la pallarancia entra nel cesto retato. Questa è la regola. Quindi tira la palla nel cesto. Così è stato per quasi un secolo, dacché è stato inventato da un professore del Canadà, nella palestra piccolina. Le uniche varianti praticate erano tirala da vicino, tirala da lontano, accompagnala. Finchè arriva il centenario della concezione e della pubblicazione di “Così parlo Zarathustra”, best seller di fine secolo, e i negroni della metropoli americana sono colpiti dalla coincidenza dell’anniversario e leggono cose come "Io vi insegnerò cos’è il Superuomo. L’uomo è qualcosa che deve essere superato. Che cosa avete fatto per superarlo?" Ed ecco che questi giovani scapestrati con nomi assurdi e braga larga si riuniscono nelle strade e nei playground delle metropoli dure e si ingegnano per trovare il modo di superare l'uomo. più o meno così nascono il rap e la schiacciata: baldi e truzzi più che mai decidono che la parola non va accompagnata per mano dentro alla canzone così come la pallarancia non va accompagnata fin sulla soglia della rete come ad un ballo di gala: esse vanno spinte dentro con la forza brutta, perché non c'è costrizione che quella che ci creiamo noi. che l'aria, quella fisica e quella melodica, sono solo concetti. Per la pallarancia basta un balzo abbastanza alto da arrivare il tuo pube all’altezza dell’occhio dell’altro. Il che vuol dire mol-to al-to. Per la canzone basta mettere tutte le parole che si vuole, sfondando la metrica. Colui che raggiunge tali altezze di braccia come colui che conquista le vette della scioltezza linguistica (in entrambi i sensi) si elevano sopra la scimmia di Nice e si esibiscono in un atto oltraggioso, schiacciando in faccia a tusaichì con di-sprezzo (=sprezzo moltiplicato per due), il debito di-sprezzo. Il rap e la schiacciata sono la scintilla che fa traboccare il vaso, il funambolo che cammina sul nulla.
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