sabato 23 luglio 2011

Finalmente tornano le vecchie rockstar di una volta

Le vecchie rockstar che morivano a 27 anni, dopo una vita a vuotare i frigobar di camere d'albergo di lusso e ultimi tour in cui c'avevano dato giù pesante, e non con l'olio piccante sulla diavola, ed erano apparsi sul palco appesantiti come ragazzi alle prime soglie del decadimento fisico, in quel limbo in cui non si è pure ggiovani ma non si tiene più come prima ma non si è ancora sfasciati come si diventa dopo (per questo dio ha lasciato in vita Keith Richards, come monito).

Il Club27 si prende la mia cantante preferita, quella col capello dall'aerodinamica improbabile, il cantato biascicato alla perfezione, quella bruttezza che è quasi bella, quella a cui non riuscirei starei dietro a bever teroldeghi.

Cia Amy, sei schiattata, probabilmente ingolfata dal tuo stesso vomito, a noi ci piacevi, era la nostra star che più nominavamo (una volta, poi due, poi tre, parlando proprio di candidati al morto del mese) e ora ci siamo persi i tuoi dischi peggiori, quelli in cui non c'hai più cazzi, o idee, per scrivere, quelli sciapi della riabilitazione, quelli pieni di speranza per la tua conversione religiosa. Ci siamo persi i tuoi morosi junky, i tuoi matrimoni da qualche giorno, la tua fattanza sul palco e poi le tue crociate contro le droghe. Ci rimane Giovanni Lindo Ferretti, ma te eri meglio, ci facevi sperare in un mondo pieno di rockstar serie, come quelle di una volta. Magari tra un po' schiatta Vasco (visto questo comunicato posticcio io ci scommetterei seriamente), e sarebbe quasi ora viste le brutture degli ultimi decenni. Ma è giusto così: ci saremmo persi Colpa d'Alfredo ad esempio, e crescere senza Colpa d'Alfredo è brutto. Te invece c'vavei la scadenza, è vero, e noi non ce n'eravamo accorti. Il tuo ultimo tour l'avremmo dovuto vedere, anche a i prezzi esorbitanti che costava. Non tanto per godere della tua arte ma per raccontarlo ai pronipoti.

Ciao Amy, a me mi mancherai, e come ultimo omaggio ti voto sul morto del mese di luglio 2011 e metto dentro questo collegamento il video di te che per primo ho visto. Magari eri fattissima (io in cuor nostro lo speriamo tutti), ma non si vedeva ancora molto. E' un dono. E' quel dono lì, cantare da dio anche in botta, che dicono che dopo i venticinque scompare come la neve dentro la banconota.

I miei vicini milanesi

I miei vicini milanesi vengono qualche volta, soprattutto d'estate. Gli hanno affittato uno splendido appartamento ristruttturato per l'utente moderno. Lo spazio abitabile si trova al piano terra di un maso. Al piano terra vuol dire non solo che è il piano più vicino alla terra. La prossimità al terreno indicata dal nome (diventuto aggettivo) non è simbolica ma letterale: sotto il pavimento c'è la terra, ok, ma anche dietro a due delle quattro pareti c'è la terra. In un posto di per sè umido ciò espone a dosi di umidità che solo un vero milanese può sopportare, e perchè no, apprezzare. Poche finestre, spazi ristretti, un anfratto lugubre se non fosse per la wireless. Davanti casa c'è un giardino grande come un gabbiotto per cani nel parco di una grande città, le città che lovvano i cani. In questo giardino ci stanno anche duemacchine, tre alla bisogna. Dispone di tavolo e panche di legno, di quelle monopezzo pesantissime, un barbeque con campanile, una legnaia che contiene soprattutto lo stendino del bucato. Di fronte, da ottima posizione visuale si trova lo splendido borgo di San Bernardo di Rabbi, un groppo di case fornito di quattro bar (uno dei quali aperto tutti i giorni fino a ore che i baristi di Trento e Bolzano son già a letto da mò) da cui diparte un filo d'asfalto ormai nuovo che ammara dal basso nella frazione Ceresè per poi perdersi nella selva che finisce nella montagna di fronte di cui ignoriamo il nome. Preciso che tale popò di paesaggio da cartolina smarza (che potete gustare qui), che io posso godere dalla casa dei miei nonni, è occluso ai loro occhi metropolitani da una cortina di abeti di natale piantati dal mio prozio negli anni settantaottanta.
Negli anni settantaottanta è saltato fuori che la gente pagava gli abeti di misura domestica e allora mio zio s'è buttato nel business. La clausola per piantarli era che poi andavano tagliati, pena una sanzione. Questo se qualcuno fosse stato incaricato di sorvegliare. Da allora gli abeti di natale non son più domestici neanche per un capannone industriale e mio prozio li sta lasciando crescere come il fagiolo magico della favola che non mi sovviene.
Un muro di montagna ripida a sinistra, tre piani di casa dietro, una coltre di aghifogli a destra. Non resta che una ristretta visuale che dà su Casna e Pralongo. Comunque una visuale in salita, un panorama al contrario che la famigliola pare apprezzare.
Il vecchio è un baffone bianco rubicondo che si bulla di essere milanese purosangue, ha una passione per le macchine fotografiche, più che per la fotografia. Il figlio lavora per Sky e passa il tempo in internet. Di mattina scende per la sua droga, un giornale rosa che dà assuefazione. I due boci ancora non sono teenager. Non hanno il permesso di uscire dal recinto. A volte guardano fuori col binocolo del nonno. Hanno il permesso di esplorare tutti i luoghi entro il perimetro. Di fuori il mondo è malvagio.
Soddisfatti della protezione dell'ambiente, i miei vicini milanesi non escono dal giardino se non per scendere in paese, preferendo la sicurezza e la celerità della automobile ad una qualsiasi passeggiata al fresco della valle, che quando scendi ti sembra che ti scappi il mondo da sotto i piedi, ti muovi per inerzia, per la nota legge della fisica che in discesa vanno anche i sassi. E' la risalita che temono, che poi è roba di cinque minuti, con l'ultimi centocinquanta metri pesi. Robe da fiatone che subito passa, robe che si sopravvive. Per loro è evidentemente una roba che fa troppo Himalaya. O forse preferiscono il comfort del mezzo. In effetti ora che ci penso un giorno il vecchio m'ha impezzato che le nuove macchine che leggono i segnali stradali e parcheggiano sono una merda tecnologica che andrebbe eliminata con furia luddista, che poi si perde il piacere della guida. Il piacere della guida è un argomento che parlato qua di fronte alle scarpinate più epiche fa quasi brutto. Questo e altri discorsi di cui lui è ugualmente ferratissimo costituiscono un tratto naturale comprovato dalla sua pura linea di sangue e un ostacolo culturale che (spero) sempre impedirà di addentrarmi in un'amicizia più spinta.
Discovery Channel dovrebbe venire a filmarli di nascosto (anche se dubito che rifiuterebbero di prestarsi al reality show familiare). L'eccezionale modalità dei miei vicini milanesi di mantenere i tratti specie specie-specifici di ricrearsi lo stesso eslusivo habitat di cui godono nella metropoli anche nei territori a loro più ostili è un prodigio della natura che condividono con le più ingegnose razze di volatili costruttori.
Io un documentario così ne lo guarderei anche in televisione, se non ce l'avessi davanti per qualche settimana l'anno.

domenica 3 luglio 2011

Djokovic è numero uno e noi l'avevamo detto quattro anni fa (o quasi)


Djokovic ha vinto Winbledon e da domani sarà il numero uno dopo anni di staffetta Federer-Nadal. Intanto è sempre soddisfazione quando il potente viene sconfitto. Mentre lo guardavo quella faccia da Adrien Brody slavo con un po' di naso in meno, m'è venuto in mente dell'ultima partita di tennis che ho visto in vita mia. Ero a Maastricht, in un ostello. Dal tetto usciva un albero che cominciava sotto la sala da pranzo. Mentre non cercavo casa e/o soluzioni al dolore guardavo EuroSport nella hall dell'ostello. Questo blog aveva sì e no un mese di vita e io non avevo scritto niente in vita mia, a parte qualche canzone e una tesi sulla morra.
Quella partita lì vedeva un Djokovic più magro e meno scafato di oggi contro un polacco che pareva il cattivo impizzato di Robocop, quello che muore prima di consumare. Quella partita lì è stata la più bella partita di sport che ho visto in vita mia, quelle per cui vale la pena andare oltre Moggi e Bettarini. Ora che quel tipo lì è il numero uno forse ha più senso. Qui, per chi c'ha tempo da perde, la si può rileggere a distanza di quattro anni.
Senza internet sarei stato qui a chiedermi dove cazzo l'ho vista quella faccia da Adrien Brody slavo?