giovedì 28 aprile 2011

Gli Atleti di Cristo

Gli atleti di Crito esistono. Esistono e si mostrano in pubblico con atti impudici tipo togliersi le vesti. Non è gente che se lo tiene per sè, lo devono strillare. Un po' come i culi, ma meno ga; anche meno macho ma certo più boy scout.
Legrottaglie dice che il suo passaggio al Milan è merito di Dio "perchè quando lui fa le cose, le fa in maniera grandiosa ["lui" è Dio, no Berlusconi, NdFL]". Se sei un atleta di Cristo vivi ogni tua azione in nome di (Cristo)Dio. Ogni gol, ogni palla soffiata, ogni assist, ogni cross che scende come un arcobaleno sui piedini d'oro anche fosse dell'attaccante più infame come anche ogni coppa con le orecchie che alzi nei cieli in mutande e sospendorio è opera del grande dissegno del Signore Altissimo. Ogni esultanza è in suo nome, tutto è in suo nome, dal segno della croce al triplice fi-fi-fischio. Quindi anche ogni intervento da dietro, ogni entrata a gomiti alti, ogni entrata assassina, ogni fallo da ultimo uomo, persino i falli tattici a centrocampo per fermare l'azione, anche il cazzo di catenaccio maledetto è fatto in nome di (Cristo)Dio. Il bene e il male lo sceglie solo Dio (e l'arbitro ovviamente, ma quello è un altro discorso e lì la Trinità si chiama(va) Triade).
Ma se per gli Atleti di Cristo tutto è in nome di (Cristo)Dio, allora per gli Atleti della Topa (come il Legrottaglie fu nel disgraziato periodo juve) è tutto merito della Topa. Ah la Topa, solo lei accoglie e protegge, solo lei sa far del bene (e una completa toeletta con la lingua prima di dormire)
Allora per gli Atleti del Bicchiere (gente come Gazza e Beccalossi, financo el Magico Gonzalez e Georgie Best, mica due Legrottaglie qualunque) tutto è merito del Bicchiere. Ah, il Bicchiere, mano tesa cui aggrapparsi e bastone cui sostenersi, "causa di e soluzione a tutti problemi" (cit.).
L'unica differenza è che questi due gruppi non sono così tamarri da farsi un sito, questo, grazie a dio.

martedì 26 aprile 2011

Machete, Il film d'azione dell'anno, perlomeno

Lo so, l'ho già detto di altri muvi ma in confronto a questo qua a sinistra gli altri sono indietro come il ciclista che ha dimenticato il sangue in frigo.
Questo è il film d'azione totale globale.
Schizzi di sangue a gratis, schizzati di tutti i tipi, arti mozzati, budella, croci televisive, preti killer, suore killer, sbirri e fratellanza tra sbirri, stronzi maledetti, cambiamenti di fronte, tacos, narcotrafficanti con la faccia di Steven Seagal, senatori antiimmigrazione spinti da direttori di marketing proimmigrazione finanziati da narcotrafficanti antiimmigrazione con la faccia di Steven Seagal, crocifissioni, riprese video di malefatte, scoop giornalistici, rivoluzioni tamarrissime, ignoranza esagerata, citazionismo spinto,sopravvivenza ad esplosioni paura, coltelli, bisturi, schioppi di ogni forma, tacos e tope da-pa-u-ra.
E poi, su tutti, MACHETE.
Se avessi sedic'anni poi mi ricorderei le battute per tutta la vita, ma ne ho trenta e mi riguardo il trailer anche se ho appena visto il film.

lunedì 25 aprile 2011

Hai risorto cristo dentro di te?


Il giorno di Pasqua ho fatto un esperimento. Ho mandato a venti amici ffidati il seguente sms: Cristo è risorto per noi. E tu hai risorto cristo dentro di te? E' utile per le prova costume.
Le risposte meritano di essere rubate ai legittimi prorpietari, così imparano a rispondere a messaggi del genere.
Certo, lo puoi fare anche con twitter, ma con twitter sai di essere dentro lo show, sei lì perché ti piace. Coi sms li becchi vergini, inconsapevoli e a gambe divaricate.
Così le puoi sfruttare per i tuoi sporchi affari, tipo pubblicare roba qui di seguito (epurati da eventuali saluti o rif. pers.).

Lascio fare a Cristo il lavoro sporco.

Oggi si costuma cantare il bella cristo ciao

Ma o veramente è risorto? E soprattutto perché tanto spargimento di carne per il lunedì dell'agnello? Sono a Roma alla vigilia di Papa Giovanni Pop.

Ah, la stele del lalù, a ciadièz la metente vizin al nepomuceno o ntel ort de calchedun?

E' risorto almeno venti volte oggi, in compagnia del porco. Amen. Se il fulmine mi coglie, ti lascio parte dei miei imperituri debiti. Nello specifico il debito che ho verso la topa.

La ostia contro la cellulite? Azz, devo convertirmi..

Non so se è risorto, di sicuro è rimosso.

Sempre sia lodato.

Cristo è risorto sotto e sopra di me, mica storie.

sabato 16 aprile 2011

Lettera aperta ai giornalisti musicali trentini sui portabandiera dell'impero



Cari giornalisti musicali trentini,
si dice che la musica trentina stia prendendo piede. Dopo che i Bastard e Anansi sono diventati famosi (anche se Anansi cantava già con Roy Paci da prima di Sanremo) si scrive di qualsiasi cosa facciano, sicuri ci sia già interesse intorno a loro. Per questo, a quanto si può inferire dalle pagine culturali dei quotidiani locali, queste due realtà (di valore, peraltro) sono le uniche a uscire dalla regione.
Quello che sui giornali locali non appare mai sono gli altri gruppi che fanno tour fuori dal Trentino. La lista sarebbe più lunga ma in questo caso voglio riferirmi in particolare a tre realtà che porteranno il folklore trentino fuori dalle mura domestiche di dolomia tra pochi giorni subito dopo la santa pasqua.
Mentre per altre band che partiono per suonare fuori (anche solo per un concerto) talvolta si scrivono papiri, tra annunci in pompa magna, partenze in sordina e ritorni roboanti, di questi non s'è ancora parlato. Se per ignoranza o di proposito non ha importanza.
Mi riferisco a Johnny Mox, che dopo aver calcato i palchi di tutta Italia (nonchè Berlino e Parigi) sia da solista che con i Nurse, ora si accinge a partire per un tour in Spagna, tra la Catalogna e Madrid.
Mi riferisco anche agli Attrito e ai Congegno, anch'essi in partenza per un tour italiano che toccherà il mezzogiorno e la Sardegna.
Questi artisti sono impresari di se stessi e riescono a organizzarsi tour di questo tipo grazie al loro sforzo e al loro ingegno, senza avere alle spalle professionisti che lavorano per loro (e pure senza la provincia, mi va di aggiungere). Le possiamo considerare realtà minori solo perchè la loro musica non ha connotati radiofonici? Le possiamo considerare realtà minori perchè non hanno professionisti che producono i loro dischi e organizzano i loro tour? Le possiamo considerare realtà minori anche se fanno molti più concerti di quelli che vengono considerati i nostri gruppi più rappresentativi? Non sono forse essi esempi di imprese culturali autonome e virtuose?
Se parliamo della cultura che esportiamo nella musica, a parte i sopracitati Bastard, Anansi e dj Spankox,, non sono forse loro i nostri portabbandiera? Certo sono brutti, sporchi e cattivi (a parte il Rupert che farebbe la sua figura anche su GQ) e uno c'ha pure il monociglio come Elio , ma anche Carlton Myers è negro ed è stato il portabandiera dell'Italia alle Olimpiadi di Sidney no?
E allora (non che a loro interessi apparire nelle pagine della cultura, credo, giusto per dovere di cronaca) perchè continuare a ignorarli?
Se chi mi rappresenta non viene citato, mentre Pino Putignani (di cui abbiamo parlato qui), ad esempio, che ha presentato il disco l'altro giorno al Cuminetti e non ha una data in programma, mi viene celebrato dagli organi di informazione come quello che scalda le platee di mezzo mondo ?
Ma allora perchè continuare a leggere le pagine della cultura dei quotidiani locali e di chi promuove la musica trentina?
(ormai) vostro
Felix Lalù

ps: unici a citare il tour di Johnny Mox, SwitchRadio.


lunedì 11 aprile 2011

Aspettavo i Trance Untes come gli ebrei ai marines

Questo non è che lo dico per fare il figo, per fare l'italiano che si lamenta sempre dell'Italia, ma quando vivevo a Madrid una cosa l'ho capita e mo ve la spiego. Noi italiani a livello di cultura musicale non c'abbiamo le basi. O meglio abbiamo poca scelta. Abbiamo il cantautorato sì, quello è serio, è l'unica cosa che abbiamo fatto noi anche se, per dire. Conte e De Andrè si rifanno più alla tradizione straniera che a quella italiana. Abbiamo la canzonetta, ma quella ce l'hanno tutti. Non c'abbiamo la musica popolare, o meglio sì ma la schifiamo (perchè roba becera da ballare nelle balere e a noi musicisti le balere c'han rotto il cazzo) e forse un po' di ragione ce l'abbiamo, forse. L'unico influsso musicale che abbiamo, dal piano marshall in poi, è la musica anglofona. Pochi escono da questo giro. Gli Almamegretta forse, dico a livello di gruppi conosciuti, e Jovanotti, ma lui c'ha musicisti della madonna. Pochi altri. Anche la Bandabardò e Roy Paci fan robe nuove, ma quella roba lì, la patchanka, la faceva già la Mano Negra vent'anni fa, peraltro con risultati migliori. Sì, certo, negli anni 70 abbiamo avuto i gruppi prog che eran famosi in tutto il mondo che c'è ancora gente che se li ricorda, ma io non ero manco nato allora, e mo c'ho trent'anni (e negli ultimi trent'anni gli unici gruppi italiani a diventare famosi nel mondo son stati probabilmente i Raw Power, Bollani e gli Zu).
Il risultato è che quel che esce è spesso una scopiazzatura di robe veteroitaliane o inglesi o mericane, leggasi metal, punk, hip hop, ma anche jazz.
In Spagna invece (e qui parte il pippone dell'ho visto cose che voi umani blaablabla) (e comunque per la francia vale lo stesso discorso, col rai degli immigrati eccetera) la materia in cui pescare è molto più varia. C'è il flamenco, che è una roba che viene dal cuore, che non puoi fare svogliatamente come suonare una rotonda sul mare, e in più c'ha tempi e giri diversi da ogni altra musica. C'è la musica afrocubana, la salsa e il son. C'è pure il cantautorato, come ovunque. E in più tutta la roba da fuori. E' ovvio che poi lì nasce la patchanka, ormai una vita fa, con tutta la gente che passa, che salta fuori il flamenco hiphop.
Ho scoperto questo gruppo, che suona con un chitarrino, un digeereedoo, un pianino vecchio (che avrà pure un nome) e che cazzo ne so. Fossimo in Italia farebbero quel jazz per intellettuali da vedere seduti. E invece fanno una roba che sembra goa ma superpop, da ballare abbestia. Ecco, forse questo c'hanno, gli spagnoli. Che se non ci puoi ballare ha meno senso. Noi invece se ci puoi ballare è quasi una vergogna.
Questi sono il mio nuovo gruppo preferito, e vengono dopo due anni in cui ho ascoltato praticamente solo Iosonouncane, Die Antwoord e The Shining. Grazie Carlitos per la dritta! Mi hai salvato da stagnazione musicale certa.

TRANCE UNTES
Tirso




TRANCE UNTES
Quimica

sabato 9 aprile 2011

127 ore (di Danny Boyle)

[Non contiene spoiler, visto che come finisce si vede qua a sinistra]

Dal primo momento in cui entra in scena, il moroso culo di Sean Penn in Milk, non può che starti sul cazzo, tanto è pieno di vita e di gatorade e di filmati di se stesso mentre dice che vuole impiegare meno tempo di quello segnalato dalla guida. Infatti il momento più alto del film è al minuto cinque, quando, facendo il figo nei canyon con la bici supertecnica, fa un volo della madonna e la musica si ferma. Lì speri che si sia fatto molto mooolto male. Invece si fa una risata e si rialza, il merda. Poi incontra due ragazze, gli fa fare un po' di tuffi da un crepaccio che oggi ci sarà il biglietto per entrare probabilmente. Anche le due tipe lo considerano un babbo. Carino ma babbo. Lo invitano a una festa il giorno dopo, gliela mettono così, su un piattone d'argento con la tovaglietta di pizzo ma lui zampetta via come uno che zampetta via nei cartoni. Poi succede che entra in un crepaccio e s'aggrappa dove non deve e cade, seguito da un masso. Come ben sappiamo gli rimane un braccio tra il masso e la parete, col pollice che spunta fuori come a fargli ok, ma non c'hai messo meno della guida. Ha una pinza ma decide che scheggiare la roccia con un coltellino è più intelligente. Gli viene in mente che siccome è uno figo e imprevedibile non ha detto a nessuno dove sarebbe andato. Non che questo permetterebbe alla gente di trovarlo in fondo a un crepaccio in mezzo al canyon in mezzo allo Utah. Dopo cinque giorni si rompe il cazzo e si taglia un braccio. Rallegra l'escursione nel canyon di una famigliola bevendosi tutta l'acqua e poi via, all'ospedale. In elicottero, perchè in bici nel frattempo gli era diventato difficile.

Poi i titoli di coda mostrano lui, quello vero, che continua a fare l'attivone con un uncino al posto della mano, ti sta ancora sul cazzo anche se è quello vero e non l'attore, poi dice che ha trovato la morosa e un figlio. Allora, vissto che si nominano i bambini, non ti sta più sul cazzo.
Quello che non dice, e che interessa a tutti è: è poi tornato nel crepaccio a recuperare la sua propria mano o l'ha lasciata ai mangiatori di carogne?

venerdì 8 aprile 2011

FelixLalù loves MetalParty (o anche La vera storia di BastaRock)

La lettera di Nicola Fontana (Fonte per chi non lo chiama per nome e cognome) all'(assessore) Panizza ha provocato, qui e su facebook una serie di interventi tra il realismo e l'utopia. Si parla dei gruppi, dei megaconcerti sovvenzionati, dei locali che chiudono, ma anche chi trova il coraggio e spazio perché evidenziare una cosa che non c'entra un cazzo con l'argomento ma a cui evidentemente tiene.
Fai click sulla foto per leggere, che blogger maledetto me la mette solo così.


Allora, facciamo così, ad uso e consumo di tutti: di seguito la storia del libro BastaRock (che per chi non lo sapesse è questo) e i retroscena sull'ingiusta esclusione di MetalParty (e altre realtà) da tale pubblicazione.

Caro Anonimo,

lascia che ti racconti una storia. Due anni fa (o tre, non ricordo) i Bastard andarono in televisione e di colpo si comincio a parlare sui mezzi di stampa (sempre a sproposito) della scena rock trentina. Nello stesso periodo un'antropologa, Dalia Macii, si trovava a Trento a una presentazione di un libro storico sul Trentino. Si annoiava, come sempre ci si annoia alle presentazioni dei libri. Ha bevuto un paio di bianchi almeno, come sempre si fa alle presentazioni dei libri. Provata dall'esperienza ha provato a incalzare l'editrice dicendole che basta con questi libri sul passato, che il Trentino è adesso e adesso che il rock trentino era sulla bocca di tutti (sempre a sproposito) era ora di fare luce vera su quest'accozzaglia di gente. Un'editrice, Emanuela Zandonai, fiutò la possibilità di fare un instant book. Voleva guadagnar due lire? Certo, è la sua azienda, ma intanto i soldi per la ricerca, la grafica e la stampa li cacciava lei, e se va male son cazzi tuoi (anche perché mamma provincia è troppo occupata a organizzare megaeventi e marchette coi faccioni dei Bastard in prima fila). Questo si chiama, a casa mia, investire coraggiosamente, con speranza ma senza sicurezza di riuscire. Ella investì ste palanche sul fatto che alla gente italica potesse interessare un libro che, a partire dalla popolarità dei Bastard, raccontasse i rutti e le scoregge di tutti gli altri diseredati che suonavano con loro nei baretti. Sia chiaro, senza i Bastard in tv, BastaRock non sarebbe esistito. Allora l'editrice (così come i Bastard) dice va bene, ma come entriamo nei gruppi trentini? L'antropologa, con cui avevo fatto una ricerca per un museo, sapeva che in quel periodo avevo uscito il disco e mi stavo facendo il mazzo a suonare in ogni buco di culo del Trentino con gli altri gruppi della mia "elite". L'editrice voleva che facessimo noi che cazzo volevamo ma che per carità, niente biografie, nomi e cognomi, date di nascita,elenco dei concorsi vinti e a chi cazzo hai fatto da spalla alle 4 del pomeriggio. Questa è roba per i quotidiani locali, lasciamogliele. Serve una ricerca seria, sul campo (per questo l'antropologa, sguardo esterno imprescindibile, e il musicista (con formazione etnografica) come sguardo dall'interno).
Noi proponiamo una serie di temi riguardo la vita delle band come noi e lo chiediamo a tutti.L'editrice propone una trentina di gruppi. Io mi lascio prendere la mano, chiedo a quelli che conosco e ne pesco degli altri da myspace. Alla fine ne contatto cinquanta, più qualcuno che rifiuta. Aggiungiamo, già che ci siamo, interviste a una quindicina di persone attive nel campo della musica: l'abbiamo pretesa noi curatori quella parte lì, per spiegare cosa andava e cosa no secondo la gente che segue o propone la musica.
Siamo a fine giugno di quell'anno lì. Io lavoravo in val di Sole e vivevo in val di Rabbi, la cui posizione centrale ti permette di raggiungere in tempi brevi qualunque sala prove del Trentino. Ne visitammo un po' quell'estate, di sale prove. In tutto quaranta gruppi intervistati, interviste da due ore l'una tutte da sbobinare parola per parola a letto, di notte, in pausa pranzo, di domenica e pure dei giorni di riposo presi apposta. Altre quindici interviste in chat e un'altra decina via mail. E quando hai tutte le interviste, pagine e pagine e pagine di word, è come quando hai comprato i colori e i pennelli, ora devi cominciare a dipingere. Tutto il materiale va riletto, più volte. Devi segnarti e control C e control V le frasi più memorabili. E quelle frasi memorabili poi le devi suddividere per categorie, spiegarle, lottare con Dalia per tenerle o buttarne una che a te piace un sacco. Poi le devi mettere in ordine, queste categorie, scegliere le foto tra tutte quelle invviate dai gruppi, devi spiegare il senso di ogni capitolo e mettere in ordine i capitoli per un libro di cui non c'è modello, non c'è precedente. E' così come ce lo siamo inventato noi, quindi nessun punto di riferimento se non come speri che venga. Il tutto consegnato a metà settembre.Quello che pochi sanno è che è finito nel libro è solo l'un per cento, forse, di tutte le interviste fatte. Tutto il resto è la fonda inutile del mio hard disc. Tempo di realizzazione: due mesi e mezzo. Non sei mesi, un anno, due mesi e mezzo, perché quando comincia il nuovo Xfactor dei Bastard (intendo il fenomeno mediatico Bastard, come detto prima, imprescindibile per la pubbblicazione) si dimenticano tutti e chi cazzo si compra un instant book sui gruppi trentini?
Se faccio il conto delle ore che ho impiegato dietro a quel libro non mi esce forse una paga da raccolta dei pomodori, se mi va bene da raccolta delle mele. Ma non è un problema. L'ho fatto volentieri, di fare di più per mettere dentro più gente che potevo e sinceraamente in pochi hanno ringraziato. Oggi non so se lo rifarei, ma allora ci tenevo.
Poi esce il libro, Bilo degli Attrito si incazza perchè non sapeva dei Bastard in sottotitolo. Ha perfettamente ragione, per lui essere asssociato coi Bastard è un'offesa e questo è perfettamente comprensibile per la sua storia. Io ingenuo l'avevo spiegato solo al suo bassista al telefono e a lui non andava bene e io non lo sapevo. Quindi senso di colpa per aver tradito un compare, e ammenda. Altri che mi vengono a dire che l'editore vuole far soldi coll'underground trentino (io non so, ma l'editoria non mi sembra proprio il campo in cui puoi fare i soldoni, al giorno d'oggi), gente che non si compra neanche il libro in cui è citata, che si lamenta per dieci euro (di cui peraltro io non piglio un cazzo di diritti, sia chiaro, essendo curatore e non autore) quando non ti ci ubriachi neanche, con dieci euro. Poi per promuovvere il disco organizziamo un tour, tentando di chiamare più gruppi possibili, uno sbattimento atomico (tutto aggratis) e c'è gente che ti caga ancora la minchia.
Il risultato è che quell'estate lì è stata la peggiore in assoluto di tutta la mia vita. Non sono uscito manco una sera (a parte quando suonavo), la tipa che frequentavo credo che in fondo mi odi ancora. Alla fine, nonostante l'estratto conto evidentemente più gonfio, ho giurato che mai più avrei scritto un libro, e anche se l'ho fatto e mi piace e mi pare una cosa buona e giusta e spero originale nella sua concezione, io non l'ho manco più aperto e non ho la minima idea di quanto abbia venduto perché mai più ho chiesto niente a riguardo .

Caro Anonimo, t'ho tirato una pezza, lo so, ma anch'io c'avevo dentro sta roba da molto tempo, che mai ho fatto roba per cui m'han rotto di più il cazzo in vita mia. Non è che ti ho raccontato sta storia per dire oh quant'è figo Felix Lalù, quanto s'è sacrificato per la causa perché a me della causa non me ne frega un cazzo. Volevo solo fare un lavoro con professionalità e già che c'ero dare voce a gente come me, a cui tocca rispondere sempre alle stesse domande degli stessi giornalisti. Quanto è babbo semmai, Felix Lalù, che poteva anche sbattersi meno, che tanto la merda sarebbe arrivata comunque.
In mezzo a tutto questo marasma è possibile che qualcuno sia rimasto fuori, dimenticato, ignorato (nel senso che non lo si conosceva). Io me ne assumo tranquillamente la responsabilità, faccio pubblica ammenda e mi prostro ai piedi di MetalParty gridando perdono come il migliore dei terroni per aver dimenticato il vostro sbattimento per la giusta causa del metal. Ma per carità, che mi si venga a fare piagnistei e accuse di lasciar fuori un determinato genere perché a me non mi piace, intanto è semplicemente ridicolo. Farlo in forma anonima è, se permetti, metal. Va bene che di metal in vita mia ho ascoltato solo i Pantera, Roots dei Sepultura il primo dei Korn, il primo dei SOAD, ora gli Shining e poco più, ma discriminarmi in quanto non metallaro (ovvero considerarmi un nemico del metal per presa posizione) mi pare ingiusto e immaturo. Ora so cos'è MetalParty, è cosa buona e giusta, gente che si sbatte per la gloria e ora pronto a rimediare. Porgo l'altra guancia, come la nostra tradizione democristiana impone. Siccome mio padre mi ha sempre detto che un uomo non si nasconde (soprattutto quando fa cazzate) e ci mette il nome, e pure la faccia, su quello che fa, io sono pronto a venire in qualunque luogo voi riteniate giusto che io venga, ci beviamo una birra in amicizia, spariamo cazzate come gente normale al bar, vi faccio una videointervista in cui mi raccontate di MetalParty, ci lasciamo stringendoci la mano e conoscendoci un po' di più, io torno a casa automunito, mi sbatto a montarla (che son ore e ore di lavoro ma ogni promessa è debito) e poi la sbatto su youtube (e parliamoci chiaro ragazzi, siamo nel 2011, a un libro youtube gli fa na pippa).
Attendo risposte. Se possibile in forma non anonima.
Con affetto
Felix Lalù

giovedì 7 aprile 2011

Blood Diamond

C'è Di Caprio che fa il figo con dei negri, poi nasconde pietruzze in una capra ma lo sgamano (perchè in Africa non si fa fatica a portare lo zaino, si taglia una capra e le si mette dentro tutto, dalle mutande sporche allo spazzolino. Ma se ti sgamano son cazzi. Probabilmente la capra è l'animale sacro come le vacca per gli indiani d'America). Poi c'è un negrone che pesca e poi arrivano altri negri e sparano dalle camionette e quasi gli tagliano una mano ma poi vedono che è un pezzo di negrone e lo mandano a filtrare il fiume. Altri negri che stanno ammollo nel fiume e filtrano il fiume. Cercano pietruzze e cocci di bottiglia. Lui ne trova uno più grosso, se lo nasconde nel piede, poi va a cagare, lo nasconde in tasca, lo sgama uno col mitra, poi arriva altri col mitra ma non amichevoli, sotterra il coccio e scappa. Finisce in prigione con DiCaprio. E il negro che l'aveva sgamato anche lui arrriva in carcere e gli dice dove l'hai nascosto il coccio era della mia bottiglie e lui si spoglia tutto (ma tutto) e tutti oh e dimenticano il coccio. DiCaprio esce, si cava un dente e c'è dentro un pezzo di vetro. Fa uscire il negrone (che nel frattempo s'è rivestito) per cercare il coccio ma lui no, lui vuole solo la sua famiglia. Allora DiCaprio lo porta in elicottero in un altro stato dove la sua famiglia è rinchiusa in un lager per negri scappati dai negri armati. Tutti arrivano a piedi e lui è l'unico negro coll'elicottero. E' un negro fortunato. Al lager c'è sua moglie e due bambine ma lui se ne frega perchè vuole il suo figlio maschio che invece nel frattempo è diventato un bocia soldato e si fa le pere, fuma la droga, gioca a carte, spara ai manichini e poi alla gente e ascolta hiphop. No, dico, ascolta hiphop. Ma queesto lui non lo sa. Tornano indietro a cercar il coccio. Ovviamente il coccio sta sopra il culo di un accampamento di negri armati e ovviamente tra questi negri armati c'è il figlio del negrone, che ormai l'ha dimenticato (vuoi mettere tuo padre pescatore e la scuola a cinque chilometri a piedi da casa tua con un gruppo di boci armati e fuori come culi con cui bere e giocare a carte tutto il giorno? No, dico, vuoi mettere?). Arriva l'esercito serio, coi elicotteri, spara ovunque ma non addosso a DiCaprio, il negrone e il figlio, che scappano con il coccio in tasca. DiCaprio muore ma prima chiama la giornalista a cui ha raccontato i cazzi suoi per tutto il film (forse se l'è anche fatta ma non s'è visto)(fin qui non è stata citata perchè in quanto donna è personaggio minore). Lei piange, lui muore. Il negro e il figlio scappano, vendono il coccio, ci fanno un sacco di soldi, la giornalista fotografa tutto e alla fine il negrone va a parlare tipo all'onu. Mentre all'inizio era un negro povero e non se lo cagava nessuno che quasi gli tagliavano una mano per niente, alla fine è un negro ricco e tutti i bianchi lo applaudono perchè è ricco ed è così che va il mondo.

Alla fine del film dicono che in Africa ci sono 200 mila bambini soldato. E' come se Padova fosse fatta tutta di bambini soldato. Il panettiere che ti vende lo zoccoletto è un bambino soldato, il ferroviere svogliato è un bambino soldato, tutti i professori universitari sono bambini soldato, anche i cinesi dei bar degli spritz in piazza delle Erbe son bambini soldato. Ci sarebbero meno questioni a Padova se tutti i bambini soldato dell'Africa sostituissero gli abitanti, che son veneti ed è male.

mercoledì 6 aprile 2011

Egregio (assessore)

Il buon Nicola Fontana (o FONTE per chi non lo chiama per nome e cognome), per quantità e qualità dei gruppi e progetti in cui ha militato, è probabilmente IL musicista trentino. Eccco cosa risponde alla lettera pro populi (di cui s'è parlato qui) al nostro (assessore) oggi su L'Adige.
Siccome sottoscrivo spammo.
E' graditi commenti costruttivi e idee fattibili, no Panizza merda, che non serve a niente se non a farsi i pompini a vicenda. Grazie


Egregio Assessore,

Ho letto con molto interesse la Sua lettera su L’Adige, così come la discussione susseguitasi nel blog (Blog’n’Roll) di Fabio De Santi sul sito del quotidiano.

L’argomento in discussione – il panorama musicale trentino e le occasioni per poterlo valorizzare – mi vede da almeno 15 anni coinvolto in prima linea in quanto musicista, tecnico dello spettacolo, educatore in contatto con la realtà giovanile locale, ma principalmente appassionato fruitore di tutto ciò che è comunicazione artistica, in special modo se questa è espressione del territorio in cui sono nato e risiedo.

Ho avuto modo di leggere con vivo interesse anche la lettera di risposta di Maurizio Facenda, ed è proprio la frase con cui quest’ultimo ha concluso il suo ragionamento Per fortuna esiste chi ci crede e si sbatte che mi vede chiamato in causa; sento quindi l’esigenza di intervenire nel dibattito, portando modestamente la mia esperienza, i miei dubbi e le mie proposte.

Per quanto possa testimoniare direttamente, la cosiddetta “scena musicale trentina” ha conosciuto e mantiene una vitalità, un fermento culturale che continua da almeno un quarto di secolo; sono davvero tanti e variegati i gruppi che hanno vissuto i loro momenti di gloria sui palchi dei locali sparsi tra la città e le valli; alcuni di loro non avevano nulla di che invidiare a realtà musicali di altre città italiane[1], in pochi hanno valicato i confini della Provincia, e si è dovuto aspettare i The Bastard Sons Of Dioniso per iniziare a vantare artisti con una visibilità nazionale.

Senza la necessità di citare i nomi, il Trentino si può pregiare da anni di validissimi musicisti, autori e tecnici che hanno intrapreso la carriera professionistica e che godono della stima del loro lavoro, anche a livello internazionale. Ma Le faccio notare che ciò si è verificato solo perché non sono mai mancate le occasioni per potersi esprimere, per potersi “fare le ossa” partendo da contesti più circoscritti: si è venuto a creare un ciclo virtuoso in cui artisti, enti, organizzatori, gestori, appassionati o semplici ascoltatori, non senza difficoltà, ma in un panorama neppure paragonabile alla situazione attuale, hanno fatto in modo che nel territorio ci fosse un terreno fertile per i progetti musicali[2].

Portando un esempio concreto, è la felice congiunzione di queste componenti che ha dato i presupposti al successo dei TBSOD[3], ai 200 ed oltre concerti eseguiti prima della popolarità mediatica, alla forte componente identitaria che i supporter di ogni provenienza apprezzano nella band valsuganotta.

Nel un contesto oggettivamente desolante dello stato della Cultura in Italia – mi riferisco ai tagli al Ministero, alla migrazione all’estero di festival musicali e allo sdegno di chi, come il sottoscritto, vive questo come un segno di degrado – il Trentino non è purtroppo in controtendenza, pur godendo di un’Autonomia che ne garantirebbe una più felice situazione.

Basta considerare le serate nel capoluogo per farsi un’opinione: a Trento, nella primavera 2011, esistono solo due realtà dove possano esibirsi musicisti in contesti che non siano “rassegne patrocinate” o concorsi di più o meno dubbio valore. Questi due ostinati quanto virtuosi promotori della musica indipendente – ma non solo quella, si parla anche di arti visive, reading, performance teatrali, ecc. – sono un centro sociale occupato (il C.S.Bruno, in via Dogana) che si autofinanzia e garantisce la corrente elettrica con un generatore, e un’associazione culturale (il Funanbolo, con lo spazio “Wallenda” in via S.Martino) situata nella cantina di un’abitazione privata[4]. Oltretutto incombe su entrambi lo sgombero o la chiusura dell’attività entro l’anno. Aggiungendo che l’elenco delle associazioni e dei locali sul territorio provinciale che negli ultimi 3 anni hanno chiuso o sono in procinto di chiudere i battenti, il quadro che si presenta si presta decisamente poco a moti d’orgoglio…

Il raffronto con altre città italiane, per non parlare di un umiliante confronto con altri Paesi europei o con la limitrofa Austria, delinea un panorama che personalmente ricorda la Corea del Nord nella vista notturna del planisfero: una landa buia circondata dalle luci di più fiorenti Stati.

Credo concorderà con me che c’è poco da rallegrarsi dell’immagine del Trentino in questo contesto, a maggior ragione se si valuta la sua collocazione a livello geografico: sono tante le band indipendenti internazionali in tournee per i music-club d’Europa; molte di loro attraversano il passo del Brennero con scalcagnati tour-bus per proseguire le loro date da Innsbruck a Verona, o a Padova, o a Bologna, dove rimpiono i locali, ma vedono Trento e la sua provincia dal finestrino, come una Terra di Nessuno.

Ora a me appare quantomeno paradossale che si celebri la creatività e il fermento della “musica giovane”, quando è sotto agli occhi di tutti una oggettiva desertificazione delle opportunità di espressione di quest’ultima. Inoltre focalizzerei sulle conseguenze endemiche, perché non vorrei si sottovalutassero le ricadute negative non solo a livello culturale, ma anche sociale e turistico.

Ad esempio, Trento, ed ora anche Rovereto, sono città universitarie: l’efficienza dell’Ateneo Trentino attira centinaia di studenti da tutta Italia; questi hanno giustamente il diritto di vivere la città e le sue offerte culturali anche la sera, e altrettanto giustamente in tanti lamentano la scarsa vivacità dei centri storici, l’esiguo programma culturale offerto, soprattutto per quanto concerne la musica dal vivo. Non c’è da stupirsi quindi se preferiscono abbandonare il territorio nei weekend e nei ponti festivi, e neppure che affollino in modo più o meno civile gli aperitivi in centro, non trovando di meglio che alcolici a prezzo scontato per passare la serata. Ma l’opportunità di un divertimento meno decadente non manca solo agli universitari: c’è un nesso preciso tra la mancanza di spazi per la musica e la partecipazione massificata agli happy hour, e allo stesso modo c’è un nesso tra una comunità florida e la libera trasmissione di cultura presente in essa. Oltretutto non sarebbe opportuno sorvolare sul fatto che anni di immobilismo producono una diseducazione da parte del pubblico ad assistere ai concerti: se in altre regioni esistono locali in cui è tradizione che si faccia musica dal vivo, e i musicisti godono della giusta considerazione, è anche vero che in Trentino occorrerà del tempo perché si capisca che in un live-club o music-pub si va principalmente per ascoltare della buona musica, non solo per ritrovarsi con gli amici a bere o a fare tornei di calcio-balilla, con emissioni di decibel in alcuni casi superiori ai concerti stessi.

Per questo lo stimolo del Suo appello ad un più ampio coinvolgimento di tutti coloro che ruotano attorno al panorama musicale, enti e associazioni culturali, promoter, case d'incisione, radio e altri media e così viapuò risultare una buona premessa per un “Rinascimento”, ma solo se accompagnato da un sincero impegno che vada oltre quelle che Facenda ha liquidato come “belle parole, eventi in grade e basta”.

Spero mi perdonerà, se a mio modesto avviso credo che questi propositi si prestano alle perplessità di chi vive in prima persona la contingente situazione di impasse, e con altrettanta perplessità osserva la solerzia del Suo assessorato nel prodigarsi in iniziative commemorative[5] che hanno sicuramente un valore storico e culturale, ma che non hanno certo presa sul mondo giovanile, in un momento in cui questo necessita di essere valorizzato più di ogni altra cosa.

Con l’augurio di buon lavoro e nella speranza di riscontri positivi,

Le porgo i miei

Cordiali saluti

Nicola Fontana


[1] All’inizio degli anni ’90 ebbi il piacere di assistere ad un concerto a Trento, degli allora emergenti Marlene Kuntz da Cuneo, da Lei citati nell’articolo. Fu un concerto memorabile e negli anni a seguire tanti gruppi trentini furono influenzati dal sound di quel gruppo. Vorrei far riflettere che ora l’unico posto dove potrebbero esibirsi nelle stesse condizioni sarebbe, oggettivamente, solo il Centro Sociale Bruno.

[2] Credo che un gruppo rock, nella sua più pura accezione, andrebbe considerato non come informale aggregazione a scopo ludico, ma un progetto artistico che prevede determinazione, impegno e costanza, sarebbe quindi da demandare alla discriminante del talento una selezione dell’eccellenza dei gruppi, certo non alla provenienza geografica o alla disponibilità economica, men che meno alla furbizia.

[3] Collaboro con i The Bastard Sons of Dioniso da più di cinque anni, sia in veste di fonico/arrangiatore in studio e dal vivo, che di grafico (sono autore della copertina del loro disco pubblicato da Sony Italia).

4 Una nota particolarmente esplicativa dell situazione precaria: entrambi i locali hanno un nome dedicato rispettivamente ad un orso fuggito nei boschi in nome della propria natura libera, e di una famiglia di funamboli dediti ad una difficile disciplina circense basata sull’equilibrio….

[5] Comunicato dell’Ufficio Stampa P.A.T. n° 684 del 31/03/2011 “TRENTINO, ALTO ADIGE E TIROLO COMMEMORANO I 500 ANNI DEL LANDLIBELL

domenica 3 aprile 2011

Di quando una stronza gli parcheggiò sulla schiena


Descrizione della scena:
Un trentenne passeggia per il centro città. In cinque anni non ha mai passeggiato in centro di domenica pomeriggio. Per timore di che, si chiede. Oggi lo fa perché la farmacia di turno è quella di piazza duomo, invisibile sotto i portici, che deve comprare le droghe per la gola della sua donna. Effettuato l'acquisto (19 euro detraibili dalla dichiarazione dei redditi) passa di fronte a un'edicola aperta. Si ferma a leggere lo strillone con la prima pagina del quotidiano locale. La notizia è questa: un padre suo conterraneo che educa i figli col bastone e la carota, dove il bastone e la carota sono la stessa sostanza. Si pone delle domande sulle abilità educative di questo suo fratello di terra e pensa che in fondo ci sono violenze peggiori, ma legali, che vede continuamente genitori che hanno rovinato boci tra le mura di casa e nel rispetto della legge. Nel momento in cui pensa sente una botta dietro la schiena e cade in avanti come i giocatori accosciati nelle foto delle squadre di calcio. Pensa allo scherzo virile di un cumpà, che l'ha visto accovacciato come un culo (gli uomini non si accovacciano) (semmai si accosciano).
E invece non sono i tacchetti del cassano di turno a fargli assaporare il porfido di Albiano, bensì il paraurti grigio metallizzato di un macchinone grigio metallizzato che si ferma (per carità) solo dopo avergli tranquillamente parcheggiato sulla schiena. Ancora a terra il trentenne dà tre colpi sulla carrozzeria costosa del macchinone, per avvertire della sua umile presenza dietro il mezzo euro6. Si rialza e vede scendere dall'auto una cinquantenne bionda, evidentemente residente, che toglie un bambinodi cinque anni e dal sedile posteriore come fosse la borsa del Poli. Lui la guarda e poi guarda me cercando la salvezza che solo un'adolescenza dedita alle sostanze psicotrope potrà garantirgli.

Dialogo:
Trentenne: Signora, mi stava parcheggiando sulla schiena.
Cinquantenne: Non serve battere sulla macchina per questo.
T: Signora, le ripeto, mi è venuta addosso con la macchina. Uno scusa sarebbe bastato.
C: Non è comunque un buon motivo per battere sulla macchina. E poi non è vero. Ho guardato e non c'era.
T: Certo che non c'ero. Stavo leggendo lo strillone, ero accovacciato. E lei ha fatto retro sulla mia schiena.
C: Non è vero.
T: Signora, non la voglio fregare, non mi sono fatto niente. Ma porca puttana, bastava una scusa, è una questione di educazione.
C: Non è vero, lei non c'era.
T: E allora mettiamola così (rivolgendosi al figlio cinquenne): tua madre è una stronza e anche una maleducata. Un giorno ti ricorderai di quello che ti ho detto e penserai che avevo ragione.
(esce l'edicolante)
Edicolante: Allora, smettila di importunare la signora.
T: Le stavo dicendo che mi ha parcheggiato sulla schiena.
E: Se è successo veramente allora chiama i vigili, non importunare la signora.
T: A me bastavano le scuse, non me ne frega un cazzo dei vigili. Non mi sono fatto un cazzo, vabene? Comunque vaffanculo, e buona domenica.
(Il trentenne prende e se ne va. Si chiede se è meglio un padre che ti premia in sostanze psicotrope o una madre che si comporta maleducatamente nonostante l'evidente torto? Che ne dice Piaget, di questo? Che ne pensa Don Milani? Poi pensa che a volte è bene imparare come i cani e la sua prima esperienza di Trento by Domenica gli può bastare per almeno un altro lustro)

sabato 2 aprile 2011

La fuga dei cervelli

Il reggae è bello, solare, positivo, veicola messaggi condivisibili e sostiene consumi naturali ed ecocompatibili, nonchè uno stile di vita scialla che il mondo dsarebbe meglio eccetera. Certo anche è che il reggae ha rotto il cazzo, come tutte le divise: il levare, le good bibratia, i dread, il chilum, non se ne può più e su questo non ci piove.
Non sono mai andato al Rototom ma è altrettanto sicuro che sia una megafesta coi controcò. E la festa, dai tempi immemori, è il rito più potente che c'è, per noi povere scimmie senza pelo. Anche in antropologia la festa e il sacro sono considerati concetti BFF. Quindi perdere un festone del genere è come se venissero i cinesi con dieci elicotteri cargo e si portassero via il Colosseo, per dire. Con la differenza che questo l'abbiamo mandato via noi.
Guarda qua, discreto pubblico, così ci autocommiseriamo il quanto basta.