giovedì 24 febbraio 2011

Infortuni

Non mi sono mai fatto male da bocia. A parte graffi e lividi, mai stampelle, mai un osso rotto. Ho rotto gli occhiali un sacco di volte, soprattutto dopo i vent'anni. La prima c'ho buttato il basso sopra durante un cconcerto, l'ultima a giocare a basket coi boci. L'unico vero infortunio della mia vita è stato una sette otto d'anni fa. Venerdì sera prove coi Piccolo Male Puro (scarica qui l'ep del 2002), Casez-Cogolo di Peio-Casez, 49 chilometri all'andata in un'ora (sempre se non beccavi i maledetti tir dell'acqua Pejo), 4 ore di fuoco e 49 al ritorno con vista, articolazioni e intelletto annebbiati. A letto tra l'una e le due. La mattina dopo sveglia alle 7 e mezza e via nei verdi campi nonesi a cavallo tra autunno e inverno. Via a sbrocolàr, con una roncola affilata di nuovo. Sembrava di tagliare quelle caramelle lunghe rosse, no rametti di melo. Non sono mai riuscito a stabilirne la dinamica certa, fatto sta che a un certo punto mi parte la roncola verso la mano e mi taglio il dito medio della mano sinistra. Lo taglio a metà e mi rimane lì aperto come una mela aperta. Tagliata a metà la prima falange, tagliato via un pezzo della seconda, tagliati nervi e tendini. Il chirurgo che m'ha operato mi chiamava il samurai, per l'esattezza del mio taglio. Credo ne fosse affascinato, di quelle fascinazioni che possono avere solo un chirurgo e un killer di quelli che tagliano la gente. Fossi andato un centimetro più avanti ora il mio vaffanculo sinistro sarebbe un vaffanculino culo. Invece dopo qualche mese ho pure ripreso a suonare. E ora ho pure una scusa per non suonare bene.
Questo è stato l'unico infortunio della mia vita. Questo fino a questo mese di febbraio.

Tutto è cominciato
Venerdì 4 febbraio
Al lavoro nell'auditorium del teatro di Cognola rimetto a posto l'impianto voce della cooperativa, carico tutto in macchina, due rampe di scale da fare alla cieca. Tutto pronto per andare quando il preside mi ricorda che devo ridargli il telecomando del proiettore, già messo via in un armadio. Vado verso la stanza, al buio. Per tutta la serata sono andato avanti e indietro da quella stanza senza problemi: salgo di corsa, avanzo deciso verso la porta, allungo la mano per scostarla dimenticandomi che la porta l'ho appena chiusa. Il pollice della sinistra mi si piega malamente tra la mano e la porta. Bestemmio tanto e dio, a bassa voce però perché la platea dei rimasti sono colleghi e presidi e rappresentanti politici de sticazzi. Esco, chiudo, consegno il telecomando, prendo la macchina, torno a casa e il dito fa male. Il giorno dopo mi alzo a mezzogiorno e fa ancora male. Vado al pronto soccorso. Di sabato pomeriggio, d'inverno, in Trentino. Sembrava di stare in una pubblicità progresso sui pericoli dello sci e dello snowboard. Ovviamente sono codice bianco aka quelli-che-possono-aspettare-e-son-stracazzi-loro-perchè-qua-noi-ci-occupiamo-di-gente-che-sta-veramente-male.Entro alle due, alle tre i raggi, poi aspetto fino alle sette per sentirmi dire che non c'è niente di rotto.
Risultato: un tutore per pollice sinistro gratis, un concerto saltato, due settimane di infortunio rifiutate

Venerdì 19 febbraio
Il mercoledì vengono a cena i Sabung, mi portano il disco nuovo, si ciarla e si beve eccetera. Il mio amore è in terronia a casa dai suoi e io mi sento maschio, per cui non lavo. Il venerdì mi ritrovo con altri tre pasti consumati e una pila da casa da studenti. Suddivido tutto per categorie. Prima le posate, poi i piatti, poi i bicchieri, tanti bicchieri quanti ne può produrre una mandria di bue beoni. Mollo l'acqua calda e proprio mentre sto ruotando la pezza per arrivare nei punti più reconditi del bicchiere con movimento rotatorio il maledetto si spezza. Casualmente dalle parti della sbeccatura (un triangolino di un centimetro di lato) si trova la nocca del mio dito indice destro e la pelle viene tagliata più o meno come si taglia una bistecca da un pezzone di carne. Tecnicamente, un rettangolo con due lati corti di mezzo centimetro, un lato lungo di uno e mezzo, staccati dalla loro sede, e l'altro lato lungo a tenerli ancorati alla nocca. Il sangue finisce ognove. Un'ora e svariati fazzoletti di rosso macchiati dopo smette di sanguinare. Servirebbero dei punti per tenere vicine le sdue parti (siamo in un punto convesso) ma la cicatrice mi piace e me la tengo
Risultato: una cicatrice a forma di C sulla nocca del pollice, molto sexy (se vi piacciono le cicatrici) e comoda per tatuarci una parola che inizia con la C.

Mercoledì 23 febbraio
Mi chiamano per fare una sostituzione alle elementari. Porto i boci prima a mensa e poi in cortile. Mi chiedono di giocare a guardia e ladri. In verità, un po' supponendo la mia superiorità atletica, un po' per incularmi, mettono a prendere solo me e Carl e scappano in dodici. Il risultato è che corriamo come degli esagerati e ci fregano sempre ma tanto lo scopo del gioco è correre no? Corro dietro a un bocia, lo prendo, cade, per non cadergli sopra metto un piede male e addio caviglia. Fa un male cane, mi fermo. Dopo mezz'ora è quasi passato tanto che gioco altri cinque minuti, a difesa della prigione, coi boci che mi gravitano intorno intoccati come i lupi al mammuth. Mi rifermo. torno a casa che non zoppico neanche. Alle cinque riunione d'equipe. Comincio a zoppicare. Alla fine zoppico ancora di più. Salgo in macchina in val di Non e cambiare marcia comincia a far male veramente. Mi fermo due ore a casa e fa un male cane. Decido di scendere ugualmente, tanto è discesa. Cambio sette volte in cinquanta chilometri, cinque delle quali schiacciando la frizione con la destra. Le due volte che azzardo con la sinistra muoio. Faccio scendere il mio amore a parcheggiarmi la macchina e la caviglia urla per me. Sono un babbo? Certo, ma questo non riallinea le articolazioni. Stamattina mi alzo, zampetto fino all'ospedale (cento metri di zampetti è veramente fatica seria).
Risultato: una caviglia slogata, un tutore per caviglia utilizzabile per immobilizzare i boci in futuro, immobilità quasi totale, dipendenza estrema, dieci giorni di infortunio.

Almeno comincio a registrare sto disco maledetto che sta cominciando a diventare una barzelletta.
E comunque, finchè non finisce questo febbraio maledetto meglio stare all'occhio.


ps: dimenticavo la costola incinata sì, ma in quella c'entravo poco.

lunedì 21 febbraio 2011

Le Origini della Specie

Le Origini della Specie è uno dei migliori nomi di gruppi in italiano mai pensato e io ho infinita stima dei nomi dei gruppi. Più che a Darwin e alla scimmia che diventa uomo a me mi fa pensare all'Origine del Mondo, la risposta artistica in-your-face di Gustave Coubert al libro che ha rivoluzionato la scienza.
Oltre a questo i nostri , rappresentano al primo ascolto tutto quello che a me nel/del rock non piace. Pochissimi riff, molti giri rock da tre quattro accordi, attitudine mtv (come contrapposizione all'attitudine Henry Rollins), voci in primissimo piano, assoli metal, sopraddosi di tronche (non a livello Verdena, invero nella norma, che infatti abusa) (vedi vademecum La Ostia sulla conta delle tronche), testi in prima persona, che parlano di sentimenti e stati d'animo come dentro una bolla.
Un prodotto rock buono anche per il pop. Mai stato un difetto, per carità, ma i gruppi troppo sbilanciati troppo verso di là, tipo Foo Fighters, Type O Negative, Timoria, Incubus è roba che metti su alla tipa che non ascolta rock, e può anche essere che te la fai (anche se certi amici lo chiamano gay rock).
Ora il problema con questi gruppi è che posso pure apprezzare qualche singolo ma un disco intero non l'ho mai retto/mi cedeva il retto (senti che rime! che poi non è una rima ma una paronomasia, o un'anafora pompata, ma vabbè) (oppure anche noll'ho mai retto/è il retto che mollò e qui c'abbiamo un chiasmone con paronomasia e assonanza: bingo per il poeta, e Dante che si rivolta nella tomba) (faccio il figo solo eprchè sto leggendo questo).
E invece stamane è successo. Ho messo su le cinque canzoni di Sospesi, il demo appena uscito che si ascolta qui, e non l'ho ancora tolto. Credo che sia la settima volta che lo ascolto. Questo perchè i testi parlano di cose che succedono alla gente e dentro la gente senza essere nè melensi nè ostentatamente romantici, semplicemente onesti, forse pipposi a volte ma a volte pure evocativi.
Il mio preferito è:
Tu vuoi il cazzo gigante
Vuoi il bene di tutta la gente
Vuoi sapere quello che non sai
Perchè non sai niente
Per me questa è poesia, roba che alle superiori me la sarei scritta sul diario. Poi le melodie e i cori son di un pop cristallino, sempre azzeccatissime e ci sono pure cosette di voce molto valide, con stili che collidono bellamente, alla rock italiano ma pure alla Morgan, alla Negrita, alla Subsonica per dire. Le musiche sono bben fatte, i tre/quattro accordi di cui sopra sono resi sempre in maniera sempre differente (che a volte ti dimentichi che son solo tre/quattro accordi) e abbracciano stili diversi e pure freschi, con echi (o cut'n'paste) di Tool, QOTSA, Muse, Subsonica, di Korn perfino forse. Le strutture sono tra gli elementi che preferisco: classiche e accoglienti come un 90-60-90 ma per niente scontate, geometriche come un pentacolo, concise come il saggio: dicono quello che devono dire, cambiano quando devono cambiare, si ampliano quando è ora di ampliarsi ma soprattutto si fermano quando è ora di smettere. C'è la ballad, il pezzo incazzone (più alla Foo Fighters che alla Henry Rollins), quello dance e intri e finaloni rock che trasudano gente seria (io per me una canzone si capisce dall'intro e dall'outro, come il culo per Tinto Brass), gente che calca i palchi da quindic'anni e sa cosa vuol dire mantenere l'attenzione sulla musica invece che sul bicchiere.
Il mondo è pieno di gruppi rock che vogliono fare pop e non sono capaci di mettere insieme un ritornello decente, che ti ricordi non dico il giorno dopo, ma due minuti dopo. Queste canzoni qui ti entrano dentro e per questo son fatte, maledette.
Le Origini della Specie sono come una MiniMinor. Giovane, sportiva, sicura, cazzuta a suo modo, dal design ricercato con un occhio nel passato e la punta del cazzo nel futuro, un po' tamarra ma coi cavalli che gli escono dal buco del culo. Non è il tipo di macchina che vorrei guidare tutti i giorni, perchè dopo un po' mi farei male, sono più da R4 (che è un sempreverde) o da Kangoo (che ci sta il mondo) o da vecchia Saab (da tamarro vintage) o da Volvo famigliare degli anni 80 (tipo carro funebre), o al limite la BatMobile. Ma queste sono scelte. Chi non la vorrebbe una Mini per sempre? Io per me preferisco lerobe più smarze ma l'evidenza non si discute. E l'evidenza è che il demo non l'ho ancora tolto, è in loop da ore.
Poco da fare, con questo disco che pompa te la dà la maggior parte delle tipe, che è ancora l'unico modo che conosco per originare la specie.

martedì 15 febbraio 2011

Biutiful di Alejandro Gonzalez Iñarritu

"E' un film che se sei maschio quando torni a casa ti aspetti di pisciare sangue"
Arturo Bandini

[Attenzione. Contiene SPOILER!]

Ci sono uno spagnolo, un cinese e un negro. Lo spagnolo è Javier Bardem, il cinese è culo e il negro fa quello che dice scappate negri ai negri che vendono le carabattole che gli ha dato lo spagnolo a loro volta prodotte (non direttamente) dal cinese culo in uno scantinato pieno di cinesi al freddo. Lo spagnolo piscia sangue fin dall'inizio, si capisce che finisce male quando gli dicono che ha due mesi di vita. Se fa la chemio. Questo è uno scazzo perché lo spagnolo ha due figli che gli vogliono bene e una madre bipolare. I bipolari son quelli che un giorno scalano l'Everest e il giorno dopo hanno paura a fare le scale. Non è esattamente una madre cui lasciare dei figli. Per non parlare del naso. Nel frattempo, mentre lo spagnolo sta morendo, un cinese entra nello scantinato e invece dei salami appesi trova i cinesi morti per il gas. Il moroso culo del cinese li butta ammare e due giorni dopo sono sulla riga. Decenni di film con cadaveri occultati non sono mai arrivati in Cina, è evidente. Come se non bastasse la polizia di Barcellona fa una retata in stile americano, coi vecchi spaventati e la gente gli rimane la mandibola come nel centro commerciale di Commando. Al negro lo rispediscono in Africa e allora lo spagnolo si prende la sua tipa negra in casa con il bocia piagnole che si chiama come Eto'o e per ripicca le sbologna i figli. Poi muore sognando il padre che ha visto solo morto.

lunedì 14 febbraio 2011

Tette e inquinamento

C'è troppo inquinamento, le polveri sottili si insinuano nei nostri polmoni, traspirano dalla nostra pelle, impolverano i frutti, sporcano i vestiti stesi, ontano i capelli delle donne. C'è troppo inquinamento, ma solo a volte. Per combattere l'inquinamento ci sono due modi. Il primo è cambiare la macchina. Certo, si produce un rottame in più buttato in qualche discarica poco (o molto) visibile, ma si guida una macchina nuova, onesta con l'ambiente, rispettosa dei bronchi dei bambini e dei metalmeccanici. Il secondo è le targhe alterne. Da buoni italiani, quando la merda tocca il culo (e solo allora) ci si muove. Lo fa la nazionale di calcio, lo facciamo noi, lo fanno i nostri governanti. La soluzione non è muoversi meno, fare car sharing, non usare la macchina ma stare fermi se si è poretti e si ha una macchina vecchia e invece muoversi e sgasare se si ha il suv, per dire. Noterà, discreto pubblico, che sono interventi di facciata, facili da mettere in atto quanto inutili. I modi discreti sono inquantificabili e non fanno audience.
Così la pensavo anch'io, ma come ogni buon uomo su questa terra mi ricredo, mi ricredo perchè i politici lo sapevano già: per questo le misure adottate sono niente. Mi ricredo cazzo, va bene? Ho degli ottimi motivi, due in particolare: sono in asse, circolari e completi di bottone di accensione, spessso uno è leggermente più grande dell'altro. E' risaputo ormai che l'inquinamento fa crescere le tette delle donne.
E allora vai di inquinamento, metti la benzina agricola al posto della super, lascia la macchina accesa tutto dì, che è tutta salute, ma soprattutto, quando puoi, sgasa compare sgasa.

giovedì 10 febbraio 2011

Perle pop

Certo c'è tanta gente che fa pop. Tra quelli che fanno pop ci sono due categorie.
Una è quelli che fanno canzoni che ti dimentichi subito, e buona parte delle volte è una buona notizia. La seconda è che ti si piantanto in testa. In tedesco si chiamano EarWorms (o meglio, uno crucco una volta mi ha fatto la traduzione dal tedesco, andatevelo a cercare voi, se è proprio necessario saperlo), i vermi delle orecchie, che ti si infilano e strisciano come un marine verso i centri nevralgici della tua volontà neutralizzando a sputi tuttte le tue mine antimusica e non c'è cazzi.
Tra questi ultimi ci sono due categorie. La prima sono le canzoni sono le Perle Pop, che è bello lasciarle infestare indisturbate, che migliorano il silenzio che c'è dentro te, che ti fanno la vita più. La seconda categoria sono quelle che ti si piantano in testa e che fanno cagare, alla SoleCuoreAmore, ma a volte peggio, perchè ci provano in tanti e non è facile e a volte rimpiangi SCA. Impossibile? No. Quando ti si atttaccano quelle è meglio un solandro sull'uscio, garantito cazzo (cit.).
Questa canzone qua, la prima dei Wooden Collective, da Bborgo Valsugana, è una perla pop, ve ne fossero. Buona giornata, giuro.

The Wooden Collective - Han Shot First

martedì 8 febbraio 2011

I Canederli di Nonna Antonietta - The Movie

Per la serie
I J'ACCUSE DI FELIX LALU'
ovvero
Sparo merda su tutto e tutti a cazzo e non traggo una conclusione logica che sia una ma alla fine arrivo a collegarmi a una cosa che se la mettevo su senza un commento faceva brutto e intanto ho comunque sparato merda a gratis
che non fa mai male

Vi ho visti, a voi leghisti, autonomisti e tutti gli altri. Vi ho visti bere le grappe venete al bar (e anch'io non ci sputo su), perchè costano meno, vi ho visti comprare la polenta di plastica e spacciarla per polenta vera, vi ho visti imbottire le vacche di mmerda che mi fa schifo pensare ddi mangiare il Trentingrana, vi ho visti svendere le montagne per qualche turista in più, vi ho visti fare i formaggi con le erbe o il peperoncino per mascherare il fatto che non sapeva di un cazzo, vi ho visti fare le feste dei portoni con la frittura di pesce, vi ho visti comprare i crauti al supermercato mentre vangando nei ricordi la nonna avanti e indietro sulla lama con una montagna di cappucci al lato, vi ho visti al ristorante ingollare con soddisfazione canederli fatti col pane pregrattuggiato, omogeneo, senz'olio di gomito.
E' facile fare i fighi col sudore del nonno, facile bullarsi della manna dal cielo, a inorgoglirsi dell'orgoglio altrui.
Ebbravi. Allora difendiamola veramente 'sta nostra identità, proiettiamo i video della Nonna Antonietta sul duomo giorno e notte, insegniamo a bere ai nostri boci, a farsi lo sciroppo con le pigne di gembro (e con quel che avanza la grappa), sostituiamo gli inutili programmi regionali della rai con la storia della cemento selvaggio e degli accordi sottobanco per il parco dello Stelvio. Almeno qualcosa ci ricorderemo, quando di identità trentina ci rimarranno solo i democristiani. E quando moriranno quelli, ci rimarranno i leghisti e mangeremo alla pausa pranzo i sofficini ripieni di speck e formaggio nostrano.
E' quel che ci saremo meritati.

I Canederli di Nonna Antonietta - The Movie

mercoledì 2 febbraio 2011

T.N.B.

Ormai c'ho sta bara in casa da un po'. Sì, una bara, va bene? Ci appoggio la tisana, il pandoro al gianduia avanzato da natale e i portaceneri che strabordano come i spaghi di Alberto Sordi. Ormai non sto neanche più lì a pulirla dalla polvere.
La accarezzo e penso a quanto la famiglia ci tiene, a questo scheletro delle medie tenuto insieme da pelle venuta su a pane e GranBiscotto Rovagnati. Ci poso l'orecchio e sento riecheggiare la parola che meno mi ha dato allegria nella vita. Ci poggio i piedi e penso allo sfrigolio delle palanche che Leolino sicuramente accetterà di versare sul mio conto alle Cayman.
Tutto è nato da questa canzone dei Kepsah qui, che dice così:

Perchè cristo di un dio sto ancora qua perchè cazzo non mi muovo, non emigro mi sento legato a questo posto che nulla mi da vorrei le spiagge ma ci sono vorrei i monti ma li ho vorrei un popolo non assuefatto dalla tv e cazzo se non c'è! Vorrei sentirmi capito da chi ci guarda ma invece marte non capisce e la norvegia è trasparente noi invece siamo neri come i sacchi delle cosche Siamo belli, intelligenti e chiusi come le valli da dove veniamo siamo ricolmi di storia come l'aria che respiravamo ora se lo fai ci trovi solo la cocaina! Gettiamo tutto a mare e decantiamo la gloria che crediamo d'avere ancora Non condivido nulla dell'italia a parte Mike Bongiorno come tutti come potrei essere da meno sono un figlio della tv sono un figlio della tv anch'io che non voglio E' la vittoria del bene sulle forze del male del governo del fare contro la sua ombra non ci resta che bruciare la costituzione federalismo! presidenzialismo! e poi tutto va bene c'è l'inflazione, la crisi ma posso ancora assuefarmi alla televisione

Sono un fan della prim'ora dei Kepsah, dei testi minuziosi, quasi barocchi, con tante parole ben cesellate, ognuna pesata non a caso, testi partiti dall'introspezione e dalla proposizione e approdati finalmente a raccontare storie tra il serio e il suggestivo, da ascoltare con l'orecchio teso sulla sinistra e il vocabolario nella mano destra. Sono un fan della prim'ora delle chitarre tra il primitivo e il matematico, del basso solista che disegna quello farebbe una seconda chitarra, dei tamburi asciutti ma eleganti.
Il disco è così, si chiama Stack, inizia con un elenco di torture e finisce con una decapitazione, passando per storie sulla Grande Guerra, messaggi programmatici e paesaggi evocati(vi). Il pacchetto è quello che vedete davanti a Sebastiano Martinelli, il leader incoronato da certo giornalismo e quindi disconosciuto dalla band.
Ma questa canzone è diversa, è un passo verso i nuovi Kepsah: inclemente, inarrestabile, bersagliera, con un testo che passa al presente e al futuro ed è al contempo moto interno, salubre conato, descrizione lucida. (Su internet non c'è, ti tocca ccomprare il cd, discreto pubblico, ti tocca)
La mia mission è vestire i Kepsah nudi di calzini (nella migliore tradizione youporn) e mutande rock (Kepsah coi boxer Tool, Zeta colle mutande anni 70 dei Spor River, Dave coi boxer extralarge dei Rancid e el Pero coi boxer moderni de Jovanotti, quelle col bordo giallo e il soleluna dietro), metterli in cima alla Paganella con la bara sul bordo del baratro che girano in tondo come le scimmie di 2001 Odissea nello Spazio , bussano e picchiano e pisciano sul duro vestito del feretro declamando con l'aria di chi ne ha pieni i coglioni e i fumetti che escono dalle bocche che dicono Allegria, amici ascoltatori!