mercoledì 2 febbraio 2011

T.N.B.

Ormai c'ho sta bara in casa da un po'. Sì, una bara, va bene? Ci appoggio la tisana, il pandoro al gianduia avanzato da natale e i portaceneri che strabordano come i spaghi di Alberto Sordi. Ormai non sto neanche più lì a pulirla dalla polvere.
La accarezzo e penso a quanto la famiglia ci tiene, a questo scheletro delle medie tenuto insieme da pelle venuta su a pane e GranBiscotto Rovagnati. Ci poso l'orecchio e sento riecheggiare la parola che meno mi ha dato allegria nella vita. Ci poggio i piedi e penso allo sfrigolio delle palanche che Leolino sicuramente accetterà di versare sul mio conto alle Cayman.
Tutto è nato da questa canzone dei Kepsah qui, che dice così:

Perchè cristo di un dio sto ancora qua perchè cazzo non mi muovo, non emigro mi sento legato a questo posto che nulla mi da vorrei le spiagge ma ci sono vorrei i monti ma li ho vorrei un popolo non assuefatto dalla tv e cazzo se non c'è! Vorrei sentirmi capito da chi ci guarda ma invece marte non capisce e la norvegia è trasparente noi invece siamo neri come i sacchi delle cosche Siamo belli, intelligenti e chiusi come le valli da dove veniamo siamo ricolmi di storia come l'aria che respiravamo ora se lo fai ci trovi solo la cocaina! Gettiamo tutto a mare e decantiamo la gloria che crediamo d'avere ancora Non condivido nulla dell'italia a parte Mike Bongiorno come tutti come potrei essere da meno sono un figlio della tv sono un figlio della tv anch'io che non voglio E' la vittoria del bene sulle forze del male del governo del fare contro la sua ombra non ci resta che bruciare la costituzione federalismo! presidenzialismo! e poi tutto va bene c'è l'inflazione, la crisi ma posso ancora assuefarmi alla televisione

Sono un fan della prim'ora dei Kepsah, dei testi minuziosi, quasi barocchi, con tante parole ben cesellate, ognuna pesata non a caso, testi partiti dall'introspezione e dalla proposizione e approdati finalmente a raccontare storie tra il serio e il suggestivo, da ascoltare con l'orecchio teso sulla sinistra e il vocabolario nella mano destra. Sono un fan della prim'ora delle chitarre tra il primitivo e il matematico, del basso solista che disegna quello farebbe una seconda chitarra, dei tamburi asciutti ma eleganti.
Il disco è così, si chiama Stack, inizia con un elenco di torture e finisce con una decapitazione, passando per storie sulla Grande Guerra, messaggi programmatici e paesaggi evocati(vi). Il pacchetto è quello che vedete davanti a Sebastiano Martinelli, il leader incoronato da certo giornalismo e quindi disconosciuto dalla band.
Ma questa canzone è diversa, è un passo verso i nuovi Kepsah: inclemente, inarrestabile, bersagliera, con un testo che passa al presente e al futuro ed è al contempo moto interno, salubre conato, descrizione lucida. (Su internet non c'è, ti tocca ccomprare il cd, discreto pubblico, ti tocca)
La mia mission è vestire i Kepsah nudi di calzini (nella migliore tradizione youporn) e mutande rock (Kepsah coi boxer Tool, Zeta colle mutande anni 70 dei Spor River, Dave coi boxer extralarge dei Rancid e el Pero coi boxer moderni de Jovanotti, quelle col bordo giallo e il soleluna dietro), metterli in cima alla Paganella con la bara sul bordo del baratro che girano in tondo come le scimmie di 2001 Odissea nello Spazio , bussano e picchiano e pisciano sul duro vestito del feretro declamando con l'aria di chi ne ha pieni i coglioni e i fumetti che escono dalle bocche che dicono Allegria, amici ascoltatori!

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