L'altra volta Dal Verme era il 29 febbraio 2010 e pioveva e faceva un freddo becco. Stavolta pioviggina, fa un freddo becco e le previsioni danno neve per venerdì e ghiaccio per sabato. (Questo lo diceva la Gazzetta del giovedì mattina, herr Alemanno).
Eccomi, scendo da Trento con una monovolume con le gomme invernali e mi faccio un baffo dell'obbligo di catene degli Appennini e di quella sburrata bianca che chiamano nevicata. Stavolta però non mi perdo la cocktail lesson di Andrea. Imparo tante cose che Andrea mi spiega con dovizia ma che non ricordo. Mi chiede cosa preferisco: gli dico che per me alcol vuol dire weizen, vino e grappa bianca e sono digiuno di cocktail a parte l'havana e il gin lemon, che devono servirmi rigorosamente slavati, altrimenti non mi posso lamentare. So per certo che Andrea mi impara l'esistenza dei cocktail finto caraibici, che me ne prepara uno che al momento mi pare la roba più buona che ho mai bevuto in vita mia senza avere sete. Son cose che non si dimenticano. Intanto fuori piove, poi fuori nevica, poi fuori ghiaccia. Rami di pino marittimo grossi come coscie di Seedorf e lunghi metri e metri abbracciano automobili e motorini, stormi di donne audaci mantengono i tacchi alti nonostante la più alta concentrazione di traumi da caduta in tutti gli ospedali della capitale, stradine con tre dita di ghiaccio ti ricordano la caducità della vita. Il giorno dopo leggo sul giornale di migliaia di tweet di protesta ma nessuno che abbia preso una pala in mano. Al ritorno in autostrada strade sgombre, pulite, asciutte, e una Opel Meriva grigia ai 100 all'ora con polvere di catena che salta su dalle ruote davanti come polvere da una strada polverosa.
Musica: La Piccola Orchestra Felix Lalù, Babalot
Enogastronomia: pizza, birra artigianale, grappa bianca, cocktail da paura e preparati con una cura/lentezza esasperante
Compari di viaggio: La Fra
Eccomi, scendo da Trento con una monovolume con le gomme invernali e mi faccio un baffo dell'obbligo di catene degli Appennini e di quella sburrata bianca che chiamano nevicata. Stavolta però non mi perdo la cocktail lesson di Andrea. Imparo tante cose che Andrea mi spiega con dovizia ma che non ricordo. Mi chiede cosa preferisco: gli dico che per me alcol vuol dire weizen, vino e grappa bianca e sono digiuno di cocktail a parte l'havana e il gin lemon, che devono servirmi rigorosamente slavati, altrimenti non mi posso lamentare. So per certo che Andrea mi impara l'esistenza dei cocktail finto caraibici, che me ne prepara uno che al momento mi pare la roba più buona che ho mai bevuto in vita mia senza avere sete. Son cose che non si dimenticano. Intanto fuori piove, poi fuori nevica, poi fuori ghiaccia. Rami di pino marittimo grossi come coscie di Seedorf e lunghi metri e metri abbracciano automobili e motorini, stormi di donne audaci mantengono i tacchi alti nonostante la più alta concentrazione di traumi da caduta in tutti gli ospedali della capitale, stradine con tre dita di ghiaccio ti ricordano la caducità della vita. Il giorno dopo leggo sul giornale di migliaia di tweet di protesta ma nessuno che abbia preso una pala in mano. Al ritorno in autostrada strade sgombre, pulite, asciutte, e una Opel Meriva grigia ai 100 all'ora con polvere di catena che salta su dalle ruote davanti come polvere da una strada polverosa.
Musica: La Piccola Orchestra Felix Lalù, Babalot
Enogastronomia: pizza, birra artigianale, grappa bianca, cocktail da paura e preparati con una cura/lentezza esasperante
Compari di viaggio: La Fra
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